Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

‘Le Monde Primitif’ di Antoine Court De Gébelin

Fons et origo della dottrina esoterica dei tarocchi

 

Andrea Vitali, marzo 2021

 

Era il 18 dicembre del 1471 quando venne pubblicata dal belga Gerardus de Lisa de Flandria, tipografo presso Treviso, la versione latina di 14 opuscoli ermetici greci dal titolo Pimander, seu de potestate et sapientia dei (Il Pimandro, ovvero sulla potestà e la sapienza di Dio). È il primo nome dato al Corpus Hermeticum, dal titolo del suo 1° capitolo. Traduttore e curatore dell’opera fu Marsilio Ficino (1433-99), uno dei più insigni umanisti dell’Italia del tempo, che l’aveva tradotta fra il 1460 e il 1463.


Nel libro, Ficino sostiene che l’antichità teologia egizia fosse fons et origo (fonte e origine) delle altre, sia pagane che cristiane, stupefatte di ammirazione per essa, come scrive nella nota introduttiva: «Mercurius Trismegistus sum quem singolari mei doctrina et theologica Aegyptii prius et barbari, mox Christiani antiqui theologi ingenti stupore attoniti admirati sunt». 1 Il libro ottenne un successo straordinario con ben ventiquattro edizioni in tutta Europa.


Per comprendere una simile risposta, occorre porre in luce ciò che gli umanisti del tempo pensavano di Ermete che riassumo attraverso le parole stesse di Ficino:

 

"Primo fra i filosofi, si rivolse dalle questioni fisiche e matematiche alla contemplazione del divino; primo discusse con grande sapienza della maestà di Dio, dell’ordine dei demoni, delle vicende delle anime. Per questo fu detto primo dei teologi; lo seguirono Orfeo, mentre Aglaofemo fu iniziato alle sante verità da Orfeo, e a Orfeo succedette in teologia Pitagora, che fu seguito fa Filolao, maestro del nostro Platone. Perciò c’è stata un’unica setta della prisca theologia [la più antica teologia 2], sempre coerente a sé stessa, formata in un ordine mirabile da sei teologi, iniziata da Mercurio [Ermete] e conclusa con Platone. Quanto a Mercurio, scrisse molti libri concernenti la conoscenza delle cose divine, e in essi, in nome del Dio immortale, quali misteri si offrono, quali stupendi oracoli, mentre parla non solo come un filosofo ma spesso come un profeta che canta il futuro! Fu lui a prevedere la fine della prisca theologia, la nascita della nuova fede, l’avvento del Cristo, il giudizio finale, la resurrezione della carne, la gloria dei beati, il supplizio dei peccatori." 3

 

Per Ficino, se la prisca teologia è testimoniata da testi ben precisi, fra i quali gli inni orfici, le sentenze pitagoriche e gli oracoli caldaici, essa via via si sviluppa nei grandi sistemi di Platone, Plotino, Proclo, Giamblico, Porfirio, ecc. Pertanto, se da un lato il Pimander venne all’epoca considerato come un prologo nell’opera di rinnovamento del pensiero filosofico e religioso ispirato a Platone, dall’altro era già stato considerato punto di riferimento da molti autori cristiani, come Lattanzio (c.250-post 317), che aveva posto Ermete fra le sibille e i profeti e Agostino, che pur lo aveva criticato in quanto cultore della magia.


Possiamo senz’altro affermare che il Pimander o Poimandres, primo trattato dei volumi del complesso Corpus hermeticum, unito all’Asclepius (attribuito ad Apuleio di Madaura, c.125-180) e a una serie di testi riassuntivi inseriti nell’opera di Stobeo (sec. V), sia da considerarsi il trattato più completo e coerente dal punto di vista dottrinale, dove la dottrina della salvezza si pone da un lato in relazione con il medio neoplatonismo e dall’altro con il pensiero gnostico.


Poimandres, interpretato come “pastore d’uomini” - quale fu inteso più tardi il Cristo - è portatore del Nous, l’intelletto supremo, il Padre, in pratica Dio stesso. Manifestandosi all’improvviso al credente (Ermete), facendolo cadere in uno stato di trance, lo induce attraverso una mistica visione a vivere il percorso che lo conduce a Lui. Come Dante sotto la guida di Virgilio, il fedele si incammina verso un viaggio siderale che, attraverso una cosmogonia, una antropogonia (che è anche antropologia), viene condotto ad approdare a una escatologia: l’uomo, rigenerato nella divinità, diverrà egli stesso dio.


Ci troviamo di fronte a una sorta di dualismo, dove la dialettica luce-tenebre (queste ultime considerate coesistenti con la luce) convive fin dall’origine dell’universo, in cui le tenebre rappresentano il regno dell’irrazionale e la luce quello dell’intelletto. Poiché l’uomo archetipico, l’Anthropos, si è macchiato di una colpa primordiale, probabilmente già insita nel Nous, l’“essere nel mondo” viene considerato piuttosto come una morte e la sua stessa esistenza un male. Ma esiste una via di salvezza, quella insegnata da Poimandres a Ermete che ne diviene portavoce: l’anima dell’uomo, liberatasi dai sedimenti di cui si è ricoperta in seguito alla caduta di Anthropos, potrà riunirsi alla divinità senza peraltro attraversare il ponte della morte, divenendo un tutt’uno con il Nous. L’anima, mediante un percorso astrale, attraverso le sette sfere planetarie tanto care anche all’astrologia ellenistica, giungerà al cielo delle stelle fisse, l’Ogdoade, dove, riunitasi alle schiere dei beati lì residenti, salirà poi ulteriormente per giungere a divenire dio con Dio stesso.


Non è difficile intravedere in tale percorso quanto venne assunto dal cristianesimo: nella colpa primordiale il peccato originale compiuto da Adamo e nelle sette sfere i sette gradini dell’anima che esprimono l’ascensione dell’uomo attraverso i gradi del proprio cuore al fine di pervenire alla vita celeste.


Poiché Ermete espresse l’esistenza di un unico dio al di là di ogni attribuzione di nomi, la Chiesa trovando somiglianza con le parole del Cristo, lo fece effigiare nel Duomo di Siena in una tarsia marmorea pavimentale assieme alle sibille pagane, fra coloro che preconizzarono l’avvento del Salvatore.

 

La tarsia di Ermete (fig. 1), realizzata da Giovanni di Stefano fra il 1487 e il 1489 sul pavimento del duomo di Siena (che Vasari definisce «il più bello et al più grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto» 4, raffigura il teologo mentre consegna con la mano destra un libro aperto a un personaggio adorno di barba (simbolo di saggezza), con un turbante in testa e una veste bordata di rosso (la Sapienza orientale), dietro il quale appare un terzo personaggio, vestito di una tunica bianca (l’Occidente). Sul libro aperto si legge: Suscipite o licteras et leges Egiptii (Ricevete, o Egiziani, il dono della cultura e della legge). Con la mano sinistra, invece, indica una tavola in pietra sulla quale sono incise le parole: Deus omnium creator secum Deum fecit visibilem et hunc fuit primum et solum quo oblectatus est et valde amavit proprium Filium qui appellatur Santum Verbum (Dio creatore di tutte le cose creò con sé un Dio visibile e questi fu il primo e il solo in cui si compiacque e moltissimo amò il proprio Figlio che è chiamato Verbo Santo).

 

 

 

                                         Ermete Trismegisto

 

                                                                                                 fig 1    

 

 

Mentre la prima iscrizione deriva da Cicerone, la seconda è tratta dall’Asclepius (II sec.), opera che tratta degli insegnamenti di Ermete all’allievo Asclepio. Entrambi le iscrizioni sono comunque tratte da citazioni riportate nel Divinae institutiones (304-13 d.C.) dell’autore cristiano Lattanzio. Allorché nel 1461 Leonardo da Pistoia, uno dei ‘messi della luce’ che Cosimo de’ Medici aveva inviato in Oriente per recuperare i perduti tesori della letteratura greca, riportò dalla Macedonia una copia del Corpus Hermeticum, si pensò di aver recuperato gli scritti originali del mitico Ermete Trismegisto, il dio Thot o il Mosè Egizio, il quale, sull’autorità di antichi autori latini e di alcuni padri della Chiesa, venne dichiarato da Ficino addirittura contemporaneo di Mosè e maestro del musico Orfeo. A circa un secolo e mezzo di distanza, nel De rebus sacris et ecclesiasticis (1614), Isaac Casaubon dimostrò che gli Hermetica erano da datarsi a partire dal II secolo d.C., e che quindi la figura di Ermete era più mitologica che reale.

 

Ma il Corpus Hermeticum aveva nel frattempo contribuito alla grande stagione dell’utopia magica rinascimentale. La magia fu parte della dottrina ermetica e lo stesso Ermete Trismegisto (il Tre volte grandissimo) ritenuto incarnarne sia lo spirito che le capacità. Nel sincretismo romano al tempo dell’impero, al dio Ermes venne dato come epiteto il nome greco del dio egizio Thot, entrambi dèi della scrittura e della magia nelle loro rispettive culture.


L’Asclepius, basandosi sull’antica religione egizia e sui suoi riti, afferma l’esistenza, nell’universo, di un’interconnessione tra le parti: “il microcosmo individuale è connesso con il macrocosmo universale, secondo un’interdipendenza tra l’uomo e le stelle fondata sulle leggi astrologiche della magia, di cui solo la rivelazione ermetica può indicare la via per scoprirne tali leggi, comprese quelle del destino dell’anima dopo la morte e della reincarnazione e infine l’ascesa al mondo celeste” 5. Scrive al riguardo Paolo Aldo Rossi:

 

«II mago è, come Ermete, colui il cui potere viene solo dalla conoscenza profonda della natura e del tutto, dal sapere quale sono le connessioni che legano le idee al mondo. Le statue, così come i talismani sono immagini intermediarie tra i due mondi capaci di cattura¬re gli influssi delle stelle e sposare le cose inferiori alle superiori. Dato che tutto quello che avviene di sotto è come quel che avviene sopra e quel che avviene sopra è come quel che avviene sotto, fra le due sfere esiste una immensa rete di interconnessioni di cui il mago deve essere in grado di tracciare l’ologramma e quindi di mettersi nelle condizioni di poter seguire tutti i percorsi che collegano i due mondi. In tal modo è possibile al mago modifica¬re gli influssi, se questi sono sfavorevoli, o riplasmare le forme materiali del modo sensibi¬le, quando queste abbiano subito un processo degenerativo. E sotto questa tecnica veniva sempre più a imporsi la precisa consapevolezza che i limiti (d’ortodossia dottrinale cristia¬na), fissati da Marsilio Ficino, erano contradditori con la figura e i compiti di un uomo-mago che, ormai, entrato nella sfera demiurgica e sedutosi alla destra di Colui che regna al di sopra del fuoco, aveva acquisito la coscienza di essere il nuovo dio. Molti degli emuli di Marsilio non disdegneranno di ricorrere a tecniche assolutamente contrarie alla religione cristiana e, addirittura, a propugnare (nello spirito di Gemisto Pletone) un ritorno integrale al paga¬nesimo antico e al culto dei “demoni”. Pia philosophia e docta religio svaniranno così per lasciare il posto alla magia o per meglio dire al desiderio dell’uomo di essere assolutamen¬te padrone di sé stesso e della natura, senza che nulla al di sopra di lui possa mai limitarlo in questo sogno di assoluta libertà». 6

 

Nonostante la datazione degli Hermetica da parte di Casaubon al II secolo dopo Cristo, la scoperta rimase ristretta negli ambiti accademici, per cui la credenza della reale esistenza di Ermete sopravvisse, tanto aveva fatto scalpore in tutta Europa l’annuncio del ritrovamento di quei testi. Uno dei personaggi che credette alla sua esistenza fu Antoine Court de Gébelin. Nato in Svizzera nel 1725 da un pastore calvinista, seguì inizialmente le orme del padre, tanto che nel 1741 entrò nel seminario di Lugano per essere infine consacrato Ministro del Santo Vangelo nel 1754. Presa residenza a Parigi, subito si adoperò in difesa dei deboli e dei perseguitati politici della Chiesa riformata. Nel 1770 entrò a far parte della loggia massonica Les neuf soeurs, fra i cui membri si annoveravano personalità come Diderot, d’Alembert, Franklin, La Fayette e Danton. Inoltre, nel 1775 fu fra i padri fondatori dell’Ordine dei Filaleti (Amici della Verità), una società secreta formata da massoni ed esoteristi, sorta sulle ceneri della Loggia Les amis réunis, una ‘terza via’ tra l’Ordine degli eletti Cohen e gli Illuminati di Avignone, ispirati dal gesuita don Antoine Pernety, autore nel 1758 delle Fables egyptiennes et greques devoilées e di un Dictionnaire mytho-hermétique.


Divenuto censore reale, cosa che meravigliò molti data la sua fede protestante, fondò il Musée di Parigi, dove molti enluminées si incontravano per discorrere di letteratura, recitare poesie e suonare musiche, oltre a realizzare diversi esperimenti scientifici. Sostenitore dell’indipendenza americana, scrisse diversi libelli a favore della libertà di pensiero, battendosi contro ogni ingiustizia sociale. Nei suoi ultimi anni di vita si appassionò alle teorie sul magnetismo animale di Franz Anton Mesmer. Il 12 maggio 1784 venne trovato morto vicino a un tubo mesmerico, fatto che diede adito ai suoi denigratori di dedicargli alcuni sonetti satirici in forma di epitaffio, a testimonianza della controversa celebrità che aveva goduto nell’arco della sua esistenza.


Antoine, nel 1772, aveva dato inizio a una pubblica sottoscrizione per l’edizione in diversi volumi di un’opera monumentale dal titolo Monde primitif analisée et comparé avec le monde moderne, considéré dans l’histoire civile, réligieuse et allégorique du calendrier et almanach. La riuscita della sottoscrizione gli permise di iniziare la pubblicazione l’anno seguente. I volumi uscirono scanditi negli anni, fino al 1784, anno della sua morte, per complessivi nove tomi. Il motivo di tale fatica è da ricercarsi nella grande passione per l’archeologia e nella sua credenza che fosse esistita in origine un’età dell’oro, durante la quale tutte le civiltà possedevano medesima lingua, religione e costumi. Una credenza riscontrata anche in Jean-Jaques Rousseau per il quale l’importante era poi cercare di tradurla in una critica sociale, a differenza del De Gébelin tutto teso a dimostrarne la veridicità storica.


Nell’ottavo volume appaiono due importanti saggi sui tarocchi: del primo è autore lo stesso Antoine, il secondo è a firma di “C. de. M”, identificato successivamente in Louis-Raphael-Lucréce-de Fayolle (1727-1804), conte di Mellet, di cui non si sa se appartenesse come Antonie a qualche loggia massonica. Entrambi concordano nell’attribuire ai tarocchi un’origine egizia, quale rappresentazione simbolica degli insegnamenti dei sacerdoti e dei saggi di quella civiltà. Scrive al riguardo il De Gébelin:


"Questo Libro egiziano, unico resto delle loro superbe Biblioteche, esiste oggi: è talmente comune che nessuno studioso si è degnato di occuparsene; nessuno prima di noi aveva mai sospettato la sua illustre origine. Questo Libro è composto da fogli o tavole di LXXVII, anche di LXXVIII, divisi in V classi, ciascuna delle quali offre oggetti tanto vari quanto divertenti e informativi: questo Libro è in una parola il GIOCO DEI TAROCCHI, un gioco sconosciuto, è vero, a Parigi, ma molto conosciuto in Italia, in Germania, anche in Provenza, e altrettanto bizzarro per le figure che ciascuna delle carte offre, quanto per la loro moltitudine. 7

 

Tale credenza, attribuita da tempo al solo Antoine, era in realtà già presente nei membri di diverse logge massoniche. Court de Gébelin non fece altro che esporla attraverso la sua pubblicazione.


Occorre, a questo punto, domandarsi il motivo di tale affermazione, da rinvenirsi secondo alcuni storici nella moda egizia del tempo che permeava diversi aspetti dell’arte. La realtà è ben diversa. Infatti, l’indagine della lettura dei trionfi dal punto di vista etico mette in evidenza una scala mistica di carattere cristiano, come oggi sappiamo. Quella scala mistica è un percorso che conduce il Matto / Insipens (simbolo del “non credente” secondo i principi della scolastica, la filosofia cristiana medievale), alla conoscenza del divino attraverso un percorso di insegnamento costituito dagli altri 21 trionfi, fino a far giungere il non credente a immedesimarsi in Dio, divenendo parte di Lui. Non a caso, san Francesco fu chiamato il “Santo folle di Dio”.


Detto ciò, occorre prendere in considerazione la credenza che all’epoca i massoni avevano della reale esistenza di Ermete: in pratica colui che per primo aveva indicato il percorso per giungere alla divinità.


L’indagine di Casaubon non venne recepita come fondamentale in molti ambienti che studiavano quella tradizione, in particolare presso quelli massonici, la cui fede in un grande architetto dell’universo si coniugava perfettamente con le idee platoniche e, quindi, ermetiche. E poiché il De Gébelin credeva all’ermetismo e a un’unica religione originaria, differenziatasi nel tempo tra le varie civiltà, si adoperò per avvalorare questa tesi cercando di spiegare i rapporti che legavano i 22 Atous (arcani maggiori) con la religione egizia, allargando poi la sua tesi anche alla relazione esistente fra i 22 Atous e le 22 lettere dell’alfabeto ebraico e, di conseguenza, con la cabbala. Inoltre, divise i 22 Atous in tre gruppi di settenari, divisione da lui ritenuta un codice universale utilizzato dai popoli antichi per regolare in ogni sua parte l’esistenza. Diede poi sommarie informazioni su un metodo cartomantico ed evidenziò il rapporto che univa i tarocchi a 77 caratteri cinesi incisi su un monumento da lui non ben specificato. Sostenne, infine, che si doveva agli zingari - che erroneamente ritenne etnia di origine egizia - l’introduzione dei tarocchi in Europa, attraverso i loro spostamenti.


Naturalmente De Gébelin cercò, laddove possibile, di sostenere le sue affermazioni con delle prove, anche se alla luce odierna esse appaiono del tutto infondate. Infatti, la decifrazione dei geroglifici egizi non era stata ancora compiuta (lo sarebbe stata poco dopo, attraverso il ritrovamento nel 1799 della famosa Stele di Rosetta). Pertanto, i rapporti espressi dal De Gébelin fra gli Atous e certe lettere egizie restano nel campo della pura fantasia, come ad esempio la provenienza dell’etimo ‘Tarocco’ da lui fatto derivare dalle parole egizie Tar (sentiero o strada) e Ro, Ros o Rog (re o reale), sicché il significato sarebbe ‘strada regia’ (ossia “strada regale della vita”). Ancor più anomala risulta la mancanza, nella sua indagine, di riferimenti a specifici monumenti di quella civiltà già al tempo conosciuti.


Interessante, invece, il motivo da lui adotto per evidenziare il perché tale conoscenza fosse rimasta segreta per tanti secoli: un nascondimento necessario per sfuggire al vigile occhio dell’Inquisizione. A tal proposito scrive:

 

"La stessa ignoranza nella quale eravamo rimasti circa il suo vero significato ha costituito, per così dire, il prezioso salvacondotto grazie al quale ha potuto attraversare incolume i secoli, senza che qualcuno fosse tentato di toglierlo dalla circolazione". 8

 

Gerardo Lonardoni sottolinea che «egli riteneva che i tarocchi celassero una dottrina di origine sapienziale, malamente interpretata dagli ignoranti cartai europei che avevano frainteso tanto l’iconografia originale quanto il suo significato. Criticava gli storici del suo tempo per i loro metodi di indagine sul tarocco». 9 Infatti, su questo aspetto così si esprime il De Gébelin:

 

"[I nostri studiosi] si sono limitati a ricercare l’origine delle Carte francesi, o meglio delle Carte in uso a Parigi, peraltro poco antiche; e dopo aver provato che la loro invenzione era recente, hanno ritenuto di aver esaurito l’argomento. Un simile modo di procedere finisce per confondere l’istituzione di una conoscenza in un Paese con la sua invenzione primitiva". 10

 

Il De Gébelin aveva preso in esame il tarocco di Marsiglia, cosiddetto in quanto si tratta di una elaborazione pressoché identica di un tarocco realizzato in Italia verso la fine del sec. XV. Egli, tuttavia, diede diverse interpretazioni alle carte per farle aderire alla sua tesi: ad esempio il Papa diventò l’Alto Sacerdote, la Papessa l’Alta Sacerdotessa, il Carro quello di Osiride trionfante, e intese la Stella come Sirio (la Canicola o Stella del Cane), mentre affermò che la donna sotto l’astro rappresentava Iside. Rese inoltre l’Appeso capovolto, la quarta virtù mancante, affinché rispecchiasse la Prudenza.


Nel 1996 è «uscita un’opera di taglio accademico scritta da tre dei maggiori studiosi contemporanei di storia del Tarocco: l’inglese Michael Dummett, filosofo e docente dell’università di Oxford, considerato il massimo esperto mondiale di storia delle carte; l’americano Ronald Decker, e il francese Thierry Depaulis. Nel libro, dal titolo A wicked pack of cards, mai tradotto in italiano, i tre illustri autori non solo sostengono (…) che il de Gébelin non inventò nulla riguardo al Tarocco, ma che diffuse idee che circolavano nelle Logge della sua epoca - e lo dimostrano in modo storicamente ineccepibile sulla base dell’esame accurato dei documenti originali». 11

 

Sta di fatto che, attraverso la sua monumentale opera, il De Gébelin diventò il grande divulgatore che diede il via alle speculazioni sui tarocchi esoterici e in seguito occultistici, presentandosi quindi come una pietra miliare, la fons et origo moderna di tale dottrina. Il fascino della filosofia ermetica a cui guardarono sia il mondo pagano che cristiano, si riverbera ancora oggi grazie alle teorie del De Gèbelin, che, al di là delle sue errate credenze, ancora oggi attira e conquista in ogni parte del mondo il grande pubblico appassionato di tarocchi. Non reputo comunque necessario riportare le teorie fantasiose di coloro che sulla scia del De Gèbelin scrissero sull’origine dei tarocchi, sia in riferimento alla civiltà egizia che ebraica, considerato che autorevoli studiosi vi hanno già dedicato molti scritti. Si tratta di una visione a posteriori priva di ogni fondamento storico e che pertanto da sempre è rimasta estranea dal mio campo d’indagine.

 

Note

 

1. “Sono Ermete Trismegisto a cui, per la singolare dottrina teologica, hanno guardato attoniti con grande meraviglia prima gli Egiziani e i barbari, poi anche gli antichi teologi cristiani” in www.bibliotecavirtualdeandalucia.es.
2. Dottrina che sostiene l’esistenza di una tradizione e teologia unica, vera e originaria - la più antica, appunto - che accomuna tutte le religioni e che è stata donata da Dio all’uomo nella notte dei tempi. Cfr. Frances Yates, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition. London, Routledge, 1964, pp. 14-18 e 433-434.
3. Eugenio Garin, Ermetismo del Rinascimento. Roma, Editori Riuniti, 1988, pp. 11-12.
4. Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori. Firenze, Sansoni, 1966, p. 173. L’opera fu composta fra il 1550 e il 1568.
5. Cfr. Giuliano Kremmerz, Introduzione alla scienza ermetica. Roma, Mediterranee, 1981, p. 111.
6. Paolo Aldo Rossi, Tarocchi: Arte e Magia. Faenza, Edizioni Le Tarot, 1994, pp. 55-56.
7. Antoine Court de Gèbelin, Le Monde Primitif. Paris, chez l’Auteur, 1781, p. 365.
8. Ivi, p. 367.
9. Gerardo, Lonardoni, Antoine Court De Gèbelin. Le origini del tarocco esoterico. Saggio in www.letarot.it.
10. A. Court de Gèbelin, Le Monde Primitif cit., p. 366.
11. G. Lonardoni, Antoine Court De Gèbelin cit.

 

Bibliografia essenziale

 

- Patrizia Alloni (a cura), I trattati ermetici. Ermete Trismegisto. Inediti egizi e armeni di filosofia e astrologia. L’Ogdoade e l’Enneade. Definizioni       ermetiche. Milano, Mimesis, 1995.
- Giordano Berti, Il tarocco esoterico in Francia. Faenza, Le Tarot, 1995.
- G. Berti, A. Vitali (a cura), Tarocchi: Arte e Magia. Faenza, Le Tarot, 1994.
- Eugenio Garin, Ermetismo del Rinascimento. Roma, Editori Riuniti, 1988.
- Giuliano Kremmerz, Introduzione alla scienza ermetica. Roma, Mediterranee, 1981.
- Gerardo Lonardoni, Court de Gébelin e la tradizione occulta, in A. Vitali (a cura), Il Castello dei Tarocchi. Torino, Lo Scarabeo, 2010.
- Gerardo Lonardoni, L’origine massonica del tarocco esoterico. Faenza, Le Tarot, (in www.letarot.it).
- Chiara Poltronieri (a cura), Ermete Trismegisto. La pupilla del mondo. Venezia, Marsilio, 1994.
- B.M. Tordini Portogalli (a cura), Discorsi di Ermete Trismegisto. Corpo ermetico e Asclepio. Milano, Tea, 1991.
- P.A. Rossi, Ermetismo e arte della memoria, in G. Berti - A. Vitali (a cura), Tarocchi: Arte e Magia. Faenza, Le Tarot, Faenza, 1994.
- Scarpi P. (a cura), Ermete Trismegisto. Poimandres. Marsilio, Venezia, 1987.
- Laura Simonini (a cura), Porfirio. L’antro delle ninfe. Milano, Adelphi, 1986.
- Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori. Firenze, Sansoni, 1966
- Andrea Vitali, La Stella. Faenza, Le Tarot, 1991 (in www.letarot.it).
- Andrea Vitali, Il Matto (Il Folle). Faenza, Le Tarot, 1995 (in www.letarot.it).
- Andrea Vitali, La Storia dei Tarocchi. Faenza, Le Tarot, 1987 (in www.letarot.it).
- Frances Yates, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition. London, Routledge, 1964.

 

Copyright Andrea Vitali © Tutti i diritti riservati 2021