di Gerardo Lonardoni
Si tratta del motto più famoso dell’astrologia, assieme all’analogo “astra inclinant, non necessitant”, il cui significato è in definitiva univoco: gli astri non sono gli esecutori di un destino prestabilito, poiché è in facoltà dell’uomo sottrarsi al loro imperium. Tocchiamo qui un argomento fondamentale per l’astrologia e per tutti i sistemi di divinazione in genere, come i Tarocchi: se e in che misura è consentito all’uomo influire sugli eventi futuri, utilizzando la conoscenza che fornisce la divinazione per costruire noi stessi il nostro destino.
È evidente che se la divinazione consistesse nello studio e rivelazione di una serie già tracciata di eventi, nel vedere in anteprima un film già realizzato, sarebbe una disciplina del tutto inutile, forse addirittura dannosa perché, come il principio di Heisenberg insegna, osservare un evento è già influire su di esso. Quindi se provassimo tramite i Tarocchi o l'I Ching o la scienza astrale a intravedere qualche barlume del nostro futuro, noi non potremmo in alcun modo influire consapevolmente su di esso, ma solo influenzarlo inconsapevolmente e incontrollabilmente, con esiti probabilmente peggiori che se lo lasciassimo scorrere spontaneamente. Tale non può essere evidentemente lo scopo di una dottrina plurimillenaria come l'astrologia, cui aderirono i grandi astronomi e scienziati dell’antichità e del Rinascimento. Ma i testi sono parchi di spiegazioni al proposito.
Dobbiamo anzitutto rifuggire con decisione le “spiegazioni” puramente verbali, sfornite di ogni apporto pratico, come la seguente: l’uomo saggio domina se stesso e sfugge all’influsso delle stelle. Con queste “spiegazioni” nulla è spiegato; si tratta di assiomi moraleggianti la cui utilità pratica è nulla. L’esoterismo è scienza e disciplina, non filosofia da scuola serale; il suo scopo è la trasmutazione dell’uomo dall’interno, cui deve fornire i mezzi per giungere al fine. Altrimenti sono solo vuote parole.
Vediamo anzitutto il significato. Il motto: “sapiens dominabitur astris” viene generalmente tradotto con “il saggio dominerà le stelle”. La traduzione è corretta, ma ve n’è anche un’altra possibile, di significato esattamente opposto: “il saggio sarà dominato dalle stelle”. L’ambiguità della frase, inusuale in una lingua rigorosamente logica com’è il latino, era forse intenzionale fin dalla sua creazione, e si basa sulla duplicità semantica del verbo latino “dominari” che, benché deponente, può avere anche significato passivo. Ovviamente i due significati possibili sono in antitesi fra loro, e quindi occorrerà trovare la spiegazione di entrambi.
Il motto è attribuito a Claudio Tolomeo, il grande astronomo-geografo di origine egizia vissuto nel II sec. d. C., nella cui opera rivive tutta l’antica astronomia dell’età ellenistica. L’aforisma ebbe una grande fortuna e nel corso dei secoli fu largamente impiegato con alcune varianti; ma fu forse nel Rinascimento, in un clima adatto alla rivalutazione dell’opera dell’uomo in opposizione al “Fato”, che trovò la sua maggiore fortuna.
Alla fine del XV secolo, in piena età rinascimentale, a Siena fiorivano diverse importanti accademie di letterati. Fra queste c’era quella nota come Accademia Grande, che si caratterizzava per una fervida adesione all’aristotelismo. Il suo motto era “Sapiens dominabitur astris”. Nella stessa epoca Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, alla cui corte erano presenti numerosi astrologi, adottava la frase come motto astrologico. Una formulazione poetica coeva si trova nell’opera del grande poeta fiorentino Luigi Pulci (1432 – 1484), in rapporti d’amicizia con Lorenzo de’ Medici, che nel poema “Morgante” scriveva:
Veggo tutte le grazie a una a una
Veggo tutte le ninfe le più belle
Veggo che Palla con lor si rauna
A cantar le sue laudi insieme quelle;
e non può contra opporsi la fortuna,
ché il Sapiente supera le stelle.
(Canto XXVIII, 150).
Se il Rinascimento valorizzò al massimo grado l’aforisma tolemaico, il medioevo diede risalto alla famosa frase con cui Tommaso d’Aquino sanciva la ritrovata pace fra la dottrina cattolica e l’astrologia: “Astra inclinant, non necessitant”, di cui pure si conoscono alcune varianti. La frase tomista era meno pregnante dell’aforisma tolemaico, perché non sottolineava la necessità della “sapientia” per vincere gli astri, i quali presumibilmente, nel pensiero del teologo medievale, potevano essere vinti anche per intercessione della Grazia divina. Il pensiero di Tommaso venne elaborato superbamente da Dante nel celebre canto XVI del Purgatorio, in cui la chiave del superamento delle influenze astrali viene esposta in forma estremamente chiara:
Lo cielo i vostri movimenti inizia
Non dico tutti, ma posto ch’io il dica
Lume v’è dato a bene ed a malizia
E libero voler; che, se fatica
Ne le prime battaglie col cielo dura
Poi vince tutto, se ben si notrica.
A maggior forza ed a miglior natura
Liberi soggiacete; e quella cria
La mente in voi, che’l ciel non ha in sua cura.
(Purgatorio, canto XVI, 73-81)
Dante, che apparteneva alla tradizione segreta dei “Fedeli d’Amore” su cui si è lungamente soffermato Luigi Valli nella sua fondamentale opera Il linguaggio segreto di Dante e dei fedeli d’amore, spiega in maniera assai chiara il significato dell’aforisma tolemaico. I movimenti delle stelle danno inizio (“Inclinant”, secondo l’espressione tomista) agli accadimenti umani, tuttavia l’uomo ha in sé la capacità di discernere il bene dal male, e il libero arbitrio per decidere fra l’uno e l’altro. All’inizio, quando l’uomo è giovane e inesperto, queste capacità faticano a vincere la battaglia contro le influenze astrali, ma col tempo, se viene portato a termine l’addestramento iniziatico (“se ben si notrica”) la vittoria è certa. È l’ultima terzina che ci dà la chiave del significato più profondo dell’astrologia; possiamo parafrasarla come segue: “liberamente seguite la vostra più grande forza e la vostra miglior natura, cioè la natura e la forza di Dio in voi. Da esse nasce la mente, che le stelle non possono dominare”.
Dunque l’uomo ha in sé una natura animale, che è in tutto sottoposta alle stelle e che, in termini orientali, è costituita dal corpo fisico-eterico e dal corpo astrale; ma ha anche una natura foggiata a immagine e somiglianza di quella divina, cioè la mente superiore, che non è sottoposta di per sé agli influssi astrali, ma che troppo spesso noi mettiamo a tacere per seguire i nostri impulsi.
Nella tradizione ermetica si parla sovente dell’ “Io degli elementi”, cioè della nostra personalità esteriore costituita dai quattro elementi: essa è un mero riflesso del corpo e degli istinti, un vero e proprio io animale privo di qualunque reale autonomia dalle proprie inclinazioni bestiali. Né educazione, né erudizione, né ovviamente nobiltà di sangue, possono in alcun modo sottrarre l’uomo all’asservimento a questa entità ferina, completamente dominata dalle configurazioni stellari. Nella misura in cui l’uomo si identifica col proprio corpo e con la propria psiche, anziché con la propria natura divina, soggiace senza scampo agli influssi astrali. Il solo modo per sfuggire alla presa di questo Io degli elementi consiste nel prostrarlo, mediante quel processo di morte iniziatica che i testi definiscono come “Opera al Nero”, affinché l’essenza umana più profonda rinasca nella palingenesi come Io liberato. Attraverso la disciplina iniziatica e i suoi rigori – e non con semplici affermazioni moraleggianti – l’Io degli elementi viene superato e nasce l’uomo nuovo, che non soggiace agli istinti e non si sottomette a loro. Al contrario agisce liberamente, perché il centro da cui parte la sua azione non è la sua componente animale, ma l’Io superiore, riflesso della divinità in lui, che agisce attraverso la mente superiore.
Ora abbiamo anche la chiave per capire la strana ambivalenza dell’aforisma tolemaico: Sapiens dominabitur astris. Il sapiente domina gli astri, poiché la sua mente superiore, centro e impulso di ogni sua attività, non è ad essi asservita. Al tempo stesso però egli ne è governato, perché non agisce “contro” di essi – impresa altrettanto folle, che pretendere di risalire a forza di braccia la corrente impetuosa di un grande fiume – ma ne asseconda l’azione, come un abile capitano sfrutta i venti per portare alla meta il suo veliero.
Gli astri hanno evidentemente un’influenza sul mondo umano, un tempo definito, non a caso, “sublunare”; ma se l’uomo giunge a conoscerla profondamente e non se ne lascia trasportare passivamente, bensì “tiene le redini” e governa il proprio carro, al tempo stesso assecondando e dirigendo le forze astrali, giunge alla meta. Per riuscirvi, deve essere in grado di governare perfettamente il proprio veicolo psicofisico, o Io degli elementi. È superfluo dire che una simile capacità presuppone una decisa volontà, guidata dall’intelligenza; cosa che si conquista solo al termine di un percorso iniziatico interiore.
L’uomo che più di ogni altro fece conoscere la millenaria scienza dello yoga all’Occidente, lo swami Paramahansa Yogananda, nel suo capolavoro Autobiografia di uno yogi dedica un importante capitolo al tema delle influenze astrali e della vittoria su di essi. Non a caso, il capitolo si intitola “sconfiggere gli astri”, così parafrasando l’aforisma tolemaico cui è dedicato questo articolo. Lo swami Yogananda racconta che quando era un giovane allievo del suo maestro, il guru Sri Yukteswar, questi gli parlò dell’astrologia, naturalmente nella forma indiana di questa disciplina. L’intero capitolo è illuminante sulle vere finalità dell’astrologia, e non possiamo che rimandare il lettore ad esso; qui ci limiteremo a qualche accenno.
Insegna Sri Yukteswar che l’uomo non nasce in un certo momento a caso, ma perché in quell’attimo e in quel luogo le stelle, come un orologio cosmico, indicano in forma simbolica il suo karma passato, che nella vita incipiente deve evolvere ulteriormente. Quindi gli astri non condannano, ma semplicemente “indicano”; e l’affresco che disegnano nei cieli al momento della nascita può essere modificato dall’uomo cui si riferiscono, perché ciò che noi abbiamo fatto, lo possiamo anche disfare. La tradizione indiana elaborò nei secoli, oltre a una profonda dottrina spirituale che di per sé costituisce il miglior strumento per “vincere gli astri”, anche una serie di espedienti materiali il cui compito è ridurne l’influsso negativo sull’uomo, quando ancora egli non è in grado di vincerlo direttamente. Fra questi strumenti vi sono i bracciali formati da determinate combinazioni di metalli e pietre, i mantra o parole di potere, i riti. Yogananda racconta che, per ordine del suo guru Sri Yukteswar, portò al polso un bracciale astrologico che gli consentì di ridurre la durata di una dolorosa malattia da sei mesi a ventiquattro giorni. Si tratta di espedienti il cui scopo è fronteggiare una calamità imminente altrimenti non evitabile, come il parafulmine storna dal tetto le folgori; ma il fine dell’astrologia, come ogni altro mezzo di autoconoscenza, è quello di giungere al punto in cui non se ne ha più bisogno, al termine di un lungo cammino interiore.
Lo stesso Swami Yogananda, in un articolo denominato I sette portali astrali d’energia, dichiarò che nel midollo spinale sono localizzati sette centri di luce denominati “chakra”, che però non si trovano sul corpo fisico materiale ma su una sua controparte sottile, composta d’energia e denominata corpo astrale. L’energia cosmica fluisce dal midollo nella spina dorsale astrale e nei suoi sette chakra; questi centri hanno l’aspetto di sette stelle, e lo stesso corpo astrale è così denominato perché la luce che manifesta ai veggenti lo fa apparire come una stella. Quando un uomo dal piano materiale vuole elevarsi a quello dello spirito, deve percorrere lo stesso cammino in senso inverso, attraversando in ascesa le sette porte astrali dei chakra. Una analoga dottrina era custodita nell’ Occidente ellenistico, allorché si parlava delle “sette sfere della necessità” (eimarmène), ognuna corrispondente ad un pianeta, che l’anima deve percorrere in ascesa per liberarsi dall’asservimento alla materia.
Possiamo quindi trarre una prima conclusione da quanto detto finora.
Il corpo astrale, come dice il suo stesso nome, è sottoposto agli influssi stellari; poiché è il corpo delle emozioni, invia continuamente stimoli alla nostra mente. Nella misura in cui la mente si identifica con le emozioni, volontariamente si sottomette ad esse e agli astri. La via quindi per “superare gli astri” è distaccarsi dall’ “io degli elementi” prodotto dall’identificazione col veicolo psicofisico, e sottomettersi invece alla mente, dopo avere riportato quest’ultima alla propria origine divina. Come ci dice Dante, le stelle non governano la mente.
I pianeti determinano una inclinazione, non decretano una condanna: perfino una inclinazione in sé del tutto negativa, può diventare la spinta decisiva ad un completo rovesciamento dell’esistenza. Sappiamo che molti grandi artisti ebbero vite profondamente infelici; ma mentre tanti altri come loro trascinarono l'esistenza negli ambienti più sordidi, essi seppero partorire creazioni geniali. Allo stesso modo, e su un più alto livello, l’oroscopo più “arduo” può trasformarsi in un’occasione di autorealizzazione, proprio perché non concede alternative appetibili sul piano mondano. Svilupperemo queste riflessioni in un prossimo articolo ad esse destinato.
Per giungere a superare le inclinazioni stabilite dagli astri, tuttavia, non basta la volontà nel senso mondano della parola; occorre la conoscenza delle leggi sottili dell’universo, e seguire la disciplina esoterica più appropriata. Lo scopo di questa disciplina non è tanto un generale “miglioramento” dell’uomo, quanto piuttosto una sua completa trasmutazione, che sottraendolo definitivamente all’asservimento agli istinti animali, a loro volta condizionati dalle stelle, lo liberi una volta per tutte dalla “tirannia degli astri”.