Saggi Iconologici sui Trionfi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Uroboro

da Serpente dei Sapienti ad Asso di Spade

 

 di Giseppe M.S. Ierace

 

La prospettiva “archetipale” dell’approccio psicodinamico all’iconografia delle “carte da gioco” è l’unica a permettere di tradurne le allegorie in spunti di riflessione emblematica, onde approfondirne quel loro magistero esoterico.

 

The Magician

 

Il serpente che cinge alla vita The Magician, nel mazzo disegnato da Pamela Colman Smith (1878-1951), secondo le istruzioni di Arthur Edward Waite (1857-1942), richiama il simbolo dell’infinito nella lemniscata che aleggia sul suo capo, mentre sul tavolo che gli sta dinanzi si trovano esposti i quattro semi degli arcani minori.

 

L'immagine rappresenta un solitario ritualista nell’atto di comunicare con gli spiriti degli elementi, attraverso la formale disposizione dei loro simboli. Il “Mago” (“Bagatto”) viene visto come colui che può dimostrare la validità della pratica occulta nei riti di guarigione, divinazione, trasmutazioni alchemiche, carica di talismani e simili. In sintesi, chiunque, portando avanti l'Oro divino dentro di sé, cerchi di compiere l’Opera, comporre e richiudere il circuito di energie circolanti tra cielo e Terra. (figura 1)

 

L’Homme et les Quadrupèdes

 

Alla quinta carta del Grand Etteilla, attribuita a  Jean-Baptiste Alliette (1724-1791), vien data la denominazione: “L’Homme et les Quadrupèdes”, perché il protagonista principale, dalle sembianze erculee, circondato da un rettile che si morde la coda, è posto al centro di un quadro (“quadrato”) alle cui estremità, in riferimento al sesto giorno della creazione (Genesi I, 26-31), si stagliano altrettanti animali: leone, cavallo, toro ed elefante; tutti quadrupedi, come nella titolazione, e pure in rapporto alla dimensione del “quaternario”, e alla cifra del 4.

 

Si tratta, ovviamente, d’una variazione dell’Arcano del Mondo, che nel mazzo di Marsiglia occupa invece il XXI posto, in cui esplicitamente si connettono le simbologie dei numeri 4, 5, e 6, mediante la perfezione (6) della fisicità corporea dell’Uomo (5), infusa da Dio nel crearlo a sua propria immagine, onde degnamente inserirlo nel regno della manifestazione (4).

 

Chi ha progettato questa modifica ha sostituito l’Angelo e l’Aquila, rispettivamente inerenti le raffigurazioni esemplificative degli evangelisti Matteo e Giovanni, con un elefante e un cavallo, e la donna, che impugna il ramo d’olivo (Eirene, Εἰρήνη, la “Pace”) con l’uomo appoggiato a una grezza clava (Adamo, Ercole). Se nella presentazione diritta della Lama,  la corrispondenza si mantiene con il sesto giorno della creazione e con il viaggio, al rovescio viene indicata la Terra quale “elemento”, in connessione al numero 4. (figura 2)

 

Esoterismo nella carte da gioco?

 

Membro della Loggia dei Filaleti, l’uno (l’Alliette ispiratore dell’Etteilla), e dell'Ordine Ermetico della Golden Dawn i primi due (Colman Smith e Waite), tutti insieme introdussero nei loro, pur differenti, mazzi di Tarocchi (rispettivamente Grand Etteilla e Rider-Waite), i simboli classici della metafisica occulta, costituendo quasi, con il carattere speculativo di essi, delle vere e proprie insegne distinguibili, a mo’ di marchi distintivi, della loro ritualità cerimoniale.

 

§

 

The Snake

 

Nel laccio del grembiule di terzo grado, il nodo viene sostituito da un fermaglio che i Freemasons chiamano “The Snake”. Il rivestimento ristabilisce allegoricamente lo stato di unità, mediante l’occultamento del comparto “di mezzo” dell’anatomia umana. La nudità “adamitica” viene nascosta per perdersi nella reintegrazione “edenica” procurata dall’iniziazione.

 

La regione intermedia del corpo umano – regione che corrisponde, nella visione microcosmica, a quella che si estende fra la Terra (piedi e gambe) e le Sfere Celesti (cuore e cervello) – è considerata, nella dottrina tradizionale, come l’ambiente dove si elaborano le forme, dove si genera la manifestazione o la vita. Questo luogo corrisponde agli organi generatori maschile e femminile, ben distinti l’uno dall’altro, che delineano la distinzione dei sessi”.

 

Tale fermaglio serpentino, come sostengono gli Autori (Ruggiero di Castiglione e Angelo Iacovella) di “Uroboro, il Serpente dei Sapienti” (Fefè, Roma 2017),  finisce per rendere “liberi e puri” coloro che lo indossano, oppure, seguendo la citazione paolina: “… saldi, per aver posto le virtù intorno ai lombi” (Efesini 6, 14).

 

La dualità della “cinta” e dell’incinta

 

La “cinta” allaccia strettamente in circolo la stessa “vita” (anche nel senso che trascende il medesimo significato di circonferenza) dell’iniziato e la trattiene nell’unità, alla stessa stregua di come all’inverso, le donne in-cinte, “quae sine cinctura ob uterum”, ne rilasciano una nuova nella dualità del mondo. Un ritorno al centro, al principio assoluto che demarca il sacro e protegge dalla profanità.

 

§

 

Nehustan

 

Giunti al XXV grado del Rito Scozzese, denominato “Cavaliere di bronzo”, ci si ispira al Nehustan eretto per guarire dai morsi dei rettili di fuoco inviati al fine di punire i peccati del popolo eletto. La vita restava salda fissando la baluginante effigie in lega di rame, anche qualora i morsi fossero stati profondi (Numeri 21, 9).

 

Forse, anche in ricordo di questo episodio, la libera muratoria speculativa cominciò, sin dal suo esordio, a coniare medaglie raffiguranti gli strumenti di un’arte, non più operativa, in modo da assegnare significative denominazioni, motti ed emblemi di cui le varie Officine si sarebbero potute fregiare nelle occasioni cerimoniali. Nella stragrande maggioranza dei casi, onde esaltarne perennità ed universalità, i classici simboli esoterici vengono riprodotti all’interno d’uno spazio circolare delimitato da un serpente che si morde la coda, in riferimento al biblico Nehustan.

 

§

 

“SI”

 

Tre secoli prima della costituzione della massoneria moderna, analoghe speculazioni esoteriche arricchivano esemplari espressioni rinascimentali dell’iconografia, numismatica, e soprattutto medaglistica.

 

Visto che, oltre a celare profondi significati esoterici pregni di ulteriori altre simbologie, rimandavano pure direttamente alle due prime lettere iniziali del suo nome («SI»), nel Tempio di Rimini a lui intitolato, Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468) aveva utilizzato come suo proprio stemma questo stesso simbolo ondeggiante del serpente attorcigliato attorno alla linea verticale dell'albero della Gnosi, per come ricordato nel libro della Genesi, poi ripreso in funzione anti-faraonica in quel Nehustan dell’Esodo (7:8-12), che ritorna prepotentemente in Numeri (21:4-8), per essere definitivamente annientato nel Secondo libro dei Re (18:4).

 

Anche nelle decorazioni arcaiche, da tempo immemorabile, ricorre Il motivo serpentiforme della lettera “S”, posta sia in verticale, sia in orizzontale. Che, nel movimento di un'apertura verso l'alto e di curvatura verso il basso, richiama la Spirale, in direzione d’un’unificazione fra cielo e terra. L’altro carattere grafico, quello della ‘I’, in cinese sinonimo di 'unità', è sempre stato considerato il primo nome di Dio, come fa testimoniare ad Adamo Dante Alighieri ("Paradiso", XXXVI,133-134). Il geroglifico del Principio, e principio di tutto l'alfabeto, quindi punto centrale che, con la sua espansione, produce il cerchio della manifestazione universale, equivale alla lettera ebraica “yod” (י). Anche nella numerazione latina, la lettera ‘I’ rappresenta l'unità a causa della sua forma di linea retta, la più semplice di tutte le forme geometriche, anzi "punto senza forma". Nell’insieme, dunque, entrambi “S” e “I” stanno a sottolineare il carattere primordiale del simbolismo circolare del divino (figura 3)

 

Secondo alcune fonti, però, Sigismondo avrebbe  iniziato ad adottare tale sigla (SI) allorquando conobbe quell’Isotta degli Atti (1432-1474) che per lui sarebbe incontrovertibilmente divenuta musa ispiratrice. E allora, in quella che tutti ritenevano la sua sigla personale, tacitamente avrebbe lasciato impresso, con le iniziali dei loro nomi (Sigismondo e Isotta), un segno tangibile di questo ierogamico connubio.

 

Movimenti ritmici di onde sinusoidi per giungere, tra gli spumeggianti umori di Venere, a una quiete orgasmica dagli “odori” salmastri, sintetizzati da Ezra Pound (1885-1972) nel binomio: «Hudor (ύδωρ) et Pax». Era in lei che Malatesta avrebbe scoperto il principio femminile divino, la Vergine Maria, la Sophia, la dea Mater, la Shakti Induista, la Iside Egizia. E, infatti, nell'epigrafe a Isotta dedicata sulla tomba, viene appellata come “Diva”.

 

"IS"

 

Una lettura più enigmatica della "SI", magicamente rovesciata, ci porterebbe a ribaltare le lettere in "IS", interpretandole in tal caso come prevalenza del femminile, e iniziali soltanto di Isotta, nonché insegna decisamente isiaca, secondo la forma grecolatina dell’egizio Aset, Isi-s (oppure, senza desinenza, Isi).  (figura 4)

 

Per contro, in quel monumento rinascimentale, sorto con il contributo di artisti del calibro di  Leon Battista Alberti (1404-1472), Piero della Francesca (ca. 1416/1417-1492), e Agostino di Duccio (1418-1481 ca.), nonché del miniatore e medaglista Matteo de' Pasti (ca. 1412-1468), sono assolutamente assenti iconografie mariane in senso puramente cristiano, tanto da far irretire a suo tempo papa Pio II (Enea Silvio) Piccolomini (1405-1464): "Verum ita gentilibus operibus implevit, ut non tam christianorum quam infidelium daemones adorantium templum esse videretur". L'intento recondito era, difatti, quello di perseguire l'unione divina dei due principi, maschile e femminile, onde realizzare, nell’alchemica androginia, la perfezione della Grande Opera.

 

§

 

Simbologia “egizia”

 

In maniera davvero singolare, uno stravagante Conte di Cagliostro (1743-1795) avrebbe scelto, come personale enigmatico sigillo, una particolare elaborazione dell’Asso di Spade delle comuni carte napoletane, il che per Ruggiero di Castiglione, noto studioso di simbolismo e tradizioni occidentali, nonché storico delle vicende massoniche nel Regno delle Due Sicilie, avvalorerebbe l’ipotesi d’un’origine partenopea della simbologia “egizia”, legata a quell’Arcana Arcanorum altrimenti definibile appunto quale “Scala di Napoli”.  (figura 5)

 

Nella “Corrispondenza segreta sulla vita pubblica e privata del conte di Cagliostro” (Venezia 1791) si legge infatti ch’egli avrebbe ricevuto la descrizione di questo suo originalissimo stemma, nel corso d’una visione: “La tua divisa sarà il serpe col pomo in bocca trafitto dalla freccia”.

 

Sophia

 

Assumendo la forma d’una sinuosa S, iniziale di Sophia, o sapienza, un rettile si protende verso l’alto per addentare il frutto dell’albero della Gnosi, mentre uno strale lo infilza, rendendolo sanguinante, proprio al centro della sua altezza, e quindi al cuore, il punto cruciale equidistante dalla testa e dalla coda, ricongiunte così dalla retta dell’arma, la quale, in quanto raggio di luce, ne feconda la materia, e, come lingua di fuoco, ne redime la ferita. Questo ermetico ritratto si conclude pertanto in modo da modellare la cifra dell’8, simbolo dell’infinito, della rinascita, della perfezione e dell’eterno ritorno, intanto che, sullo sfondo, un banco di nuvole sovrasta un’onda marina che s’infrange sulla riva.

 

Quinta essentia

 

Una tale spiaggia allude all’elemento Terra e alla fase dell’Opera designata quale Nigredo, l’onda richiama l’Acqua e l’Albedo, le nubi evocano l’Aria e la Citrinitas, invece il liquido ematico, sgorgato in seguito al colpo ben assestato dalla saetta celeste, è un altrettanto evidente riferimento al Fuoco e alla Rubedo. Attraverso le quattro fasi della trasmutazione della “materia prima”, si produrrà una Quinta essentia, una bevanda d’immortalità ed Elixir di lunga vita.

 

“… Ecce qui tollit peccata mundi…”

 

L’accostamento più immediato con la liturgia cristiana viene fornito dall’agnello pasquale, o Agnus Dei, la cui particolare immagine, nella simbologia dell'arte ecclesiastica, mostra la vittima sacrificale seco recante una croce, che iconograficamente può essere sempre vista sia quale lancia sia come daga, in sostituzione dello strale ofidico.

 

L’Asso di Spade

 

La variazione grafica, stilizzata, di questo emblema si riscontra nel disegno dell’Asso di Spade delle carte napoletane, raffigurante un gladio riposto nella propria guaina, inclinata dall’alto in basso e da destra a sinistra, giusto come la freccia dello stemma del conte di Cagliostro, nel momento in cui il suo balteo svolazzante assume invece un sembiante serpentiforme che però, non arrivando a compiere la perfetta ricongiunzione della lemniscata, riflette anzi un rovesciamento della lettera S, imponendone dunque una lettura al contrario che, secondo l’interpretazione cabalistica del contesto, rafforzandone il senso magico, la trasforma nella prima lettera dell’alfabeto ebraico, Aleph (א), dal corrispondente valore numerico di Principio.

 

§

 

“Ibis redibis non…”

 

La leggenda popolare narra di come alcuni marinai, che avevano prestato servizio a bordo d’un veliero commerciale rientrato dall'Egitto, abbiano recapitato, quale souvenir per le proprie compagne, delle carte  con cui queste potessero imparare a mantenere sotto controllo il destino del loro amore, spesso imbarcato lontano. Studiate quindi con lo scopo di sintetizzarne soprattutto i significati palesi, che andassero incontro più al loro specifico e mero interesse, ne vennero risolte le complessità originarie, al fine di ottenere risposte precise, seguendo in ciò quell’antica tradizione campana, risalente ai responsi dell’oracolo della Sibilla.

 

La radice primordiale nell’impiego delle arti divinatorie, per assumere il maggior numero di informazioni sui propri uomini, era diffusa presso le cosiddette “vedove bianche”, mogli di emigrati, marinai o soldati, che, quando non era ancora possibile conoscere in tempo reale gli esiti di un’avventura, un viaggio o una battaglia, apprendevano dalle più anziane a mettere in atto dei metodi predittivi, tramandati dal più lontano passato; mediante le carte, relativamente più recenti, adattate alle nuove vicende e ai nuovi contesti, si ebbe una rivalutazione del vecchio sistema mantico.

 

In fondo, per capire se i loro amati fossero ancora in vita, o se fossero costretti a ripartire, al fine di separare, scongiurare o confermare il fato temuto, era quasi sempre sufficiente sciogliere l’ambiguità nella classica frase latina: “ibis redibis non morieris in bello”, riportata nel “Chronicon” di Albericus Trium Fontium, semplicemente spostando un segno d’interpunzione, all’interno della sua sfuggente ed equivoca punteggiatura. Tra “Ibis, redibis, non morieris in bello” e “ibis, redibis non, morieris in bello”, il senso ne risulta completamente sovvertito, e nel suo esatto opposto.

 

Dal Caos all’Ordine

 

Per la consultazione, occorre preparare il “terreno di coltura”, mischiando le carte del mazzo - cambiandone anche il verso, poiché si devono leggere sia al dritto sia al rovescio -, per ricreare quel Caos primordiale, dal quale riproporre un Ordine nella stesura delle scelte ottenute, allorquando, quindi, il rimescolamento cessa e il responso avrà delineato il nuovo assetto.

 

Il mistero delle origini

 

È abbastanza attendibile che le antenate delle moderne carte da gioco siano giunte alla fine del XIV secolo, attraverso contatti non sporadici con i Mamelucchi egiziani. Il mazzo dei Mamelucchi era formato da quattro semi: Tûmân (coppe), Darâhim (denari), Suyûf (spade) e Jawkân (bastoni da polo), anche se ogni seme conteneva dieci carte numerate, da 1 a 10, e tre figure (o carte di corte), malik (re), nā’ib malik (viceré, o deputato del re) e thānī nā’ib (secondo, o sotto-deputato). I disegni erano volutamente astratti per via della legge islamica circa il divieto di ritrarre figure umane, ma ciononostante riportavano i nomi di ufficiali dell’esercito.

 

Le peculiarità

 

In genere, i semi “latini” (italiani, ed iberici, spagnoli e portoghesi), che ne sarebbero derivati, condividono gli stessi tipi di simboli, differenziandosi principalmente per le modalità con cui vengono rappresentati e disposti, in specie in  spade e bastoni. A volte, questi ultimi sono nodosi, come tronchi o randelli, in altri casi sottili e lineari, a mo’ di scettri o mazze cerimoniali; le prime sono corte e dritte, oppure ricurve, in forma di scimitarre, e tra loro incrociate, come può accadere pure nel seme precedente.

 

I “fanti”, od otto, delle carte napoletane appaiono di fattezze femminili, e pertanto assumono la denominazione di “donne”. Il nove, o “cavallo di spade”, in particolare, sembra un personaggio simile a un moro col turbante in testa e la scimitarra in mano, quando invece la scimitarra costituisce un’eccezione rispetto al resto delle carte di questo seme, che mantengono tutte la forma classica della spada occidentale. Il “cinque di spade” contiene, all’interno del riquadro, delle bucoliche scene di semina, mentre il tre di bastoni mostra un grottesco mascherone centrale, che, per via della somiglianza dei suoi baffoni con le vibrisse dei felini, lo connota quale “Gatto Mammone”, figura popolare di spauracchio evocato per spaventare i bambini. I denari possono apparire stelle, e il loro Asso è sorretto da un’aquila bicipite, mentre il Re è definito “la matta”, per la facoltà, ristretta ad alcuni giochi, di assumere qualsiasi valore gli si voglia dare.

 

Dapprima, tutti i Re erano la carta di maggior valore, per assegnare in seguito speciale significato alla carta che invece nominalmente ne possedeva il valore minore, l’Asso. Un concetto questo che si pensa possa essere stato ulteriormente confermato dal pensiero illuminista, precursore della Rivoluzione francese, allorché l’Asso diventa il simbolo del sorgere dell’astro delle classi inferiori, soppiantando il potere della nobiltà.

 

L'ipotesi “mediterranea”

 

L'ipotesi “italiana”, ma forse ancor più espressamente "meridionale" o “mediterranea”, d’un innesto di perenni valori tradizionali ed esoterici nelle carte da gioco, che avrebbe prodotto successivamente diverse varianti dei Tarocchi, si coniugherebbe con la tesi che reputa la città di Napoli la vera culla della simbologia “egizia” della Massoneria, sostenuta sia su “Uroboro, il Serpente dei Sapienti” (Fefè, Roma 2017), sia su “Il Conte di Cagliostro e il Cavaliere d’Aquino. Alle origini della massoneria mediterranea” (Atanòr, Roma 2015).

 

Napoli/“Naibbe”

 

Un’idea che potrebbe rivelarsi non del tutto peregrina, tenuto conto che l'Italia, in genere, è certamente il paese dove le carte hanno avuto il maggior sviluppo, e non soltanto dal punto di vista della qualità artistica, ma anche per quanto riguarda la loro produzione.

 

Il lemma “Naibbe”, in questo caso, potrebbe non provenire, solo e semplicemente, dalla denominazione mamelucca di due carte di corte (nā’ib), ma essere scaturito volgarmente quale vernacolare storpiatura del nome stesso della città di Napoli. Ed è da qui che si sarebbe esteso poi nelle provincie settentrionali l’impianto esoterico delle carte, sviluppandosi fino a dare origine alla tradizione dei Tarocchi, per come la conosciamo oggi?

 

Più verosimilmente, la città partenopea ha rappresentato un importante nodo uroborico in cui si sono concentrate quelle medesime energie prodotte dalle onde spumeggianti che vanno a infrangersi sulla battigia, emblematicamente  rimaste impresse sulle medaglie di Sigismondo Malatesta, sul sigillo di Cagliostro e sull’Asso di Spade.

 

Bibliografia essenziale

 

Castiglione (di) R. La massoneria delle Due Sicilie e i “fratelli” meridionali del ‘700, Gangemi, Roma 2006-2014

Castiglione (di) R. Corpus massonicum. Introduzione ai riti, miti e simboli della libera muratoria, Atanòr, Roma 2007

Castiglione (di) R. Il Conte di Cagliostro e il Cavaliere d’Aquino. Alle origini della massoneria mediterranea, Atanòr, Roma 2015

Castiglione (di) R. e Iacovella A. Uroboro, il Serpente dei Sapienti, Fefè, Roma 2017

D’Anna N. Le radici sacre della monetazione, Solfanelli, Chieti 2017

Dummett M. Il Mondo e l’Angelo. I Tarocchi e la loro storia, Bibliopolis, Napoli 1993

Ierace G. M. S. Smorfia, Arte "corrispondenziale". Cabala figurale in un “mazzo” di Arcani onirici. Si veda al link:

http://www.associazioneletarot.it/page.aspx?id=357

Ierace G. M. S. L'Appeso e la cifra del 4. Lamed, Agla e la G,

http://www.associazioneletarot.it/page.aspx?id=424

Ierace G. M. S. Il mazzo di Waite. Le influenze della tradizione celtica sul ‘magic revival’,

http://www.associazioneletarot.it/page.aspx?id=482

Ierace G. M. S. Carte Rivoluzionarie - I simboli della Rivoluzione Francese nelle carte da gioco. Si veda al link:

http://www.associazioneletarot.it/page.aspx?id=593

Ierace G. M. S. In nome del Padre, della madre e del coniuge – Le apparenze sociali – L’ossessione identitaria. Si veda al linK. 

http://www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/atri-argomenti/in-nome-del-padre-della-madre-e-del-coniuge-le-apparenze-sociali-l%e2%80%99ossessione-identitaria/2768/

Ierace G. M. S. Identità di genere – Chimere e prodigi del corpo. Si veda al link:

http://www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/atri-argomenti/identita-di-genere-chimere-e-prodigi-del-corpo/9314/

Kozminsky I. I numeri magici. Simbolismo, significato e usi quotidiani, Aseq, Roma 2015