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Giulio Cesare Croce e i Tarocchi

"Mai mi viene il Bagatella, non il mondo, manco il Matto"

 

Attualmente 216 saggi storici sui tarocchi e 19 saggi iconologici riguardanti gli Arcani Maggiori di Andrea Vitali sono stati oscurati. I saggi presenti sono posti a titolo dimostrativo. Tutti i saggi saranno disponibili prossimamente in edizione cartacea.

 

 

Andrea Vitali, ottobre 2009



Conosciamo la vita di Giulio Cesare Croce, cantastorie d’eccezione e commediografo, attraverso la sua autobiografia dal titolo Descrittione della vita del Croce. 1 Accompagnandosi con il violino si esibiva in piazze e case patrizie in occasioni di fiere, mercati e particolari solennità. Nato nel 1550 a San Giovanni in Persiceto, un paese vicino a Bologna, si spense in povertà nella città felsinea nel 1609 dopo essersi sposato due volte e messo al mondo quattordici figli. Raccontò la vita quotidiana bolognese nelle sue più svariate sfaccettature: i poveri e i diseredati, i signori e i loro divertimenti, le feste religiose e profane, il piacere procurato dal cibo e come cucinare, la vita all’interno delle case, il carnevale - tanto da essere considerato uno dei maggiori esponenti della letteratura carnevalesca -, raccontando meglio di chiunque la vita della città alla fine del Rinascimento. Oltre al suo famosissimo Le sottilissime astutie di Bertoldo, 2 ha lasciato più di seicento fra opere a stampa e manoscritte, componendo sia in lingua italiana che in dialetto. Fu tra l’altro un prolifico scrittore di enigmi. Nonostante amasse giocare a carte, tarocchi compresi, in una sua opera morale descrisse le qualità negative dei giocatori e la fine miserevole riservata a coloro che eccedevano in quel vizio.

 

In un opuscolo sui giochi descritti come una sorta di vademecum per il divertimento delle famiglie dal titolo Barzeletta sopra del giuoco. Nella quale si narrano tutti i vitij che nascono dal giuocare 3 della cui attribuzione al Croce occorre tuttavia porre riserve, 4 accanto a quelli di sala l'autore contempla anche i giochi d’azzardo:

Ritornello

 

Maledetto sia il giocare,
l’inventor che fu del gioco,
maledetto in ogni loco,
in ogni parte, in terra, e in mare,
Maledetto sia il giocare.
Se a Tarocco ho già giocato
Mai mi viene il Bagatella,
non il mondo, manco il Matto,
ne figura, che sia bella
l’Angel mai con sua favella
mai mi viene a visitare.
Maledetto sia il giocare.


Nel proseguo Croce descrive un elenco di giochi, fra cui anche quello dei trionfetti: 5 "Trionfet, trentuno, primiera, crichetta (crica grande e la mezzana), sequenza soprana, scacchi (scacco matto) tavoliero, toccadiglio, pallone, zoni, sbaraglino". Così il Croce descrive la sua esperienza al gioco dei trionfetti:

 

Ho giocato a Trionfet, i,
dico a quei de la ventura
dove gioca giovenetti,
senza haver nulla paura,
io meschin per mia sciagura
al Giudeo m’han fatto andare.

 

Ritornello

 

Maledetto....

 

Il Cacasenno, attribuito a Banchieri, fu in realtà composto da diversi autori. Nel canto XVIII, un'ottava illustra quanto avveniva intorno a un tavolo dove si giocava a tarocchi:

 

Canto XVIII - Ottava XXV

 

Poco lungi a' tarocchi si giucava
In partita da quattro Bolognesi,
Cui altri sopra per veder si stava,
Ed eran sì accaniti, e cosi accesi,
Che ad ogni lor parola si bravava,
Come gli Ebrei sovra gli usati arnesi.
Un disse: oh carte, che direi del bretta! (1)
Si può dar della mia maggior disdetta? 6

 

(1) bretta = con questo termine veniva chiamato un tempo a Bologna il boia. Il senso della frase è che un giocatore avrebbe mandato le carte al boia, a similitudine dell’espressione “andate al diavolo!

 

Il termine bagatelle, con significato di ‘cose di poco conto, quisquiglie’, 7 da cui il personaggio del Bagatto, è citato nel Bertoldino unitamente al verbo taroccare, il cui significato è sbraitare per ira o arrabbiatura. 8

 

Canto VIII - Ottava VI

 

E poi, per tante vantaggiose e belle
Doti, e quasi direi, virtù morali,
Trasfuse nel garzon, che tenerelle,
E in erba ancora non rassembran tali,
Perchè occupate in varie bagattelle,
Confacenti a l' età; che se poi l'ali
Giunga a impennar questo pulcin, qual guardo
Non fia, i’ voli a seguirne, infermo, e tardo? 9

 

Canto XII - Ottava XLII

 

Sputa, sputa, si netta; eh bagattelle.
A smorbarsi non basta una lisciva:
Le pegole, le colle garavelle
Non son di razza sì tegnente, e schiva.
Ei vernicata n' ha d' aver la pelle
Del mostaccio, a far poco, insin che viva,
E a distrigar la barba atto fia solo
Lo scardasso, od il pettin del garzuolo. 10

 

Canto XII - Ottava XLIII

 

E tigna, e flusso, fistol, cancro, peste,
E de' malanni tutta la genia
Augura a chi l'ha concio per le feste,
E taroccando pur se ne va via.
Ne avvien, che mai dal replicar s'arreste,
Maladetto quel matto becco, e via.
La nuova per la Corte tosto è sparsa:
Se v'era allor Molier, che bella farsa! 11


Un riferimento al Berni e al Lasca, il primo autore del Capitolo del gioco della primiera 12 e il secondo del Trionfo della rovescina, 13 si trova nel primo canto, laddove entrambi vengono citati come maestri dello stile burlesco:

 

Canto I - Ottava V

 

O Berni, o vate dabbene, e gentile,
Che detto sei infra i toscan migliori
Maestro, e padre del burlesco stile,
Onde ogni cuor rallegri, ed innamori,
Comunque ei siasi grossolano e vile;
E or fra gli eterni verdeggianti allori
Cinto, con messer Bino siedi, e ‘l Lasca.
E l'altra schiera, d' ederosa frasca. 14

 

Un richiamo ai giocatori perditempo, a ogni tipologia di sfaccendati, ma anche ai lavoratori seri fra cui i produttori di carte da gioco, viene rivolto dal Croce nell’ Invito Generale, che fa la campana Grossa del Torazzo A tutti gli Artefici, che debbino levarsi à buon’hora per andar à Botega Se non vogliono giostrare con l’appetito e combattere con la fame del 1610. 15 Di seguito il passo diretto ai giocatori:

 

La Campana del Torrazzo,
La mattina quando sona,
Pare ch’essa il ciel intona.
E che dica in suo parlare,
Su, su, tutti à lavorare.
[...]

Su su voi, che fate Carte
Da tarocchi, e da primiera,
Non stancate la letiera
Se volete da mangiare,
Su, su, tutti.


Con un altro suo componimento dal titolo Il trionfo de’ poltroni. Opera piacevole con due mattinate bellissime, & alcune canzoni napolitane nuove, belle e sentenziose aveva richiamato i giocatori a non poltrire nelle taverne:


Chi si diletta à giocar due per parte
al pallon grosso, e chi giuoca alle carte,
à dadi, à sbaraglino, tal che così si comparte
il giorno tutto quanto, senza ragionar mai d'arte. 16


La vita in osteria dà lo spunto al Croce per raccontare, attraverso le parole di un incallito avventore di nome Bacialorcio - il cui nome è tutto un programma -, il legame vino-carte nel Lamento de’ bevanti per la gran carestia del vino et delle castellate di questo anno. Opera nova in dialogo. 17

 

Interlocutori: Sponga, Trippa e Bacialorcio

 

Bacialorcio

 

Basta à me, che la bettola vi sia,
E ch'io vi possa andar mattina, e sera,
E star sovente in festa, e in allegria.
E posso dir' a l'hoste à buona ciera,
Se non mi piace un vin, vamene, tira
D'un altro, ch'ei mi serve, e volontiera.
Et hora una viola, hora una lira
Sentir sonare, hor far venir le carte,
C'ha giocar quì non è chi si ritira.
Hor a far' à la mora a due per parte,
Un boccale à le cinque, ò una foietta,
Che questa de' bevanti è la ver'arte.
In somma la Taverna mi diletta,
Per le cause sudette, e perché siamo
Ad essa giunti, entriamo dentro in fretta,
Che l'hora è già passata. T. [Trippa]entriamo, S [Sponga]. entriamo.


Come riferito, il Croce fu un’abile e prolifico ideatore di enigmi che apparvero in due opere a stampa: nel De gli enimmi del Croce parte seconda, ne i quali si contengono altri cento quesiti piacevoli, et ingegnosi; trattenimento nobile per ogni spirto gentile, et virtuoso 18 e nel Gioco della sposa. Opera nova, & piacevole. Dove s’introduce una compagnia di cavaglieri, & dame in un ridutto à far de’ giochi. Ne’ quali si sentono molte argutie, motti, linguaggi, enimmi, et altre cose piacevoli. Di Giulio Cesare della Croce. 19

 

Il De gli enimmi contiene cento enigmi descritti ciascuno in ottava; le soluzioni risposte sono riportate al termine nella Tavola della dichiarazione degli enimmi overo indovinelli del Croce, abbinate ciascuna agli enigmi da un numero di riferimento.

 

L’Enimma 56 verte su un personaggio dei trionfi dei tarocchi:


Frà gli Pianeti albergo, et hò sollazzo
Mescolarmi col Sole, e con la Luna;
E ben, che ciaschedun mi tenghi pazzo,
Ceder non voglio ad essi in parte alcuna.
Non son’ucciso, et altri non ammazzo,
E me non può sforzar sorte, ò fortuna;
Anzi, con essa son spesso à le strette;
Ne stimo Morte, Diavol, ne Saette. 20


Tavola della dichiarazione degli Enimmi, overo Indovinelli del Croce.


56 - Il Matto de’ Tarocchi. 21

 

Sulla condizione dei carcerati, Croce scrisse due capitoli uno in lode e l'altro in biasimo della prigione. 22 Nel primo troviamo un ulteriore citazione dei tarocchi:

 

Lodi della prigione


A tarocco, talora a schiera, a scacchi
si gioca per piacer, et abbracciarsi
l’un l’altro vedi e ami mostrarsi stracco.
Nissun qui dentro senti provocarsi,
ne dirsi villanie, ne far tristizie
ma insieme d’union accarezzarsi.
Dove si fa le più strette amicizie,
quanto ne la prigion? Chi più si gode
insieme, senza fraude ne malizie?
[...]
O prigion degna di perpetua lode!
Ben gran torto ha colui, il qual si lagna
d’esser rinchiuso fra tue mura sode!
In ti si canta, suona, beve e magna,
si dorme e gioca, e qui non si lavora
come, né più né men, si fa in cuccagna.

 

Nel Lotto festevole, fatto in villa fra una nobil schiera di cavalieri, & di dame, con i trionfi de’ tarrochi, esplicati in lode delle dette dame, & altri bei trattenimenti da spasso, 23 il Croce descrive una riunione di uomini e donne della nobiltà bolognese, radunatisi nel mese di agosto “sotto una nobilissima Loggia in Villa” per trovare svago allontanando la noia. A tal fine, i convenuti scelgono di recitare venti ottave dedicate ai trionfi dei tarocchi, da abbinarsi ciascuna a una dama. Vengono pertanto predisposti due vasi contenenti il primo degli ‘scrittarini’ ovvero foglietti riportanti i nomi di ciascuna dama e il secondo dei doni da offrirsi a ciascuna di loro. Il Croce riporta quindi i “Nomi delle Dame”, le carte dei trionfi e come i gentiluomini procedettero “perche la cosa caminasse giustamente”.


"Poi cavarono tutti i Trionfi del Mazzo, & gli posero per ordine l’un dietro l’altro, secondo che vanno, cioè.

 

Angelo. Ruota.
Mondo. Carro.
Sole. Fortezza.
Luna. Giustitia.
Stella. Temperanza.
Saetta. Amore.
Diavolo. Imperatore.
Morte. Imperatrice.
Traditore. Bagattino.
Vecchio. Matto.

 

Posto il tutto all’ordine, diedero l’assonto al Sig. Flaminio, che dovesse ad ogni Dama, ch’uscisse fuori, dare una di dette Carte di mano in mano, e perche la cosa caminasse giustamente, tolser un picciol fanciulletto, & accomodatolo sopra una Tavola con i detti Vasi, gli commissero, ch’ei cavasse uno di detti scrittarini, dov’erano posti i nomi di dette signore, & un altro de beneficiati [doni], onde esso posto le mani ne i detti Vasi trasse fuori per il primo il nome della Signora Isabella, alla quale toccò l’Angelo, & la beneficiata fu uno Specchio".

 

Dopo di che il Croce fa seguire l’ottava dedicata alla dama e così via. Di seguito quanto l’autore scrive al riguardo del Trionfo della Morte:

 

Segue la bella, et honorata schiera
Questa Donna leggiadra, et ha scolpita
Ne lo scudo la Morte horrenda, e fiera,
Non perche in lei sia crudeltà infinita,
Ma per mostrar, che l’alta sua maniera
Strugge i cori, e gli ancide, e torna in vita.
E che per lei ne van mill’ombre smorte
Sotto l’insegna di tormenti, e morte.

 

Della sig. Cinthia, una delle nobildonne della schiera, alla quale dopo la lettura dei versi a lei dedicati spettò in dono un paio di calzette di seta, scrive il Croce che si conturbò, sì per essere restata in ultimo a uscir fuori, quanto che gli toccava la Carta del Matto, onde s’aspettava qualche stravagante motto, ma presto ritornò allegra, udendo la sua Stanza che diceva in questo modo:

 

Matto

 

Saggia, gentil, magnanima, & accorta,
Per compir quella schiera illustre, e bella,
Segue costei, e seco adduce, e porta
Ogni contento, e Amor con lei favella;
E perche di prudenza è fida scorta,
E che segue il sentier, ch’al Ciel n’appella,
Il Matto tien, per mostrar quanto sia
Pazzo, chi segue Amor per torta via.

 

Occorre sottolineare che poiché i trionfi sono ventidue, la mancanza dei sonetti riguardanti il Papa e la Papessa deve essere addebitata a una forma di autocensura al fine di evitare problemi con le autorità religiose in quanto in epoca post-tridentina le autorità ecclesiastiche mal tolleravano l’uso improprio di immagini in qualche modo collegate alla sfera religiosa.


Se da un lato questo componimento si inserisce nell’ampio panorama letterario dei cosiddetti Tarocchi appropriati, 24 non è possibile affermare con sicurezza che quanto descritto dal Croce, nomi compresi, sia da porre in relazione con una situazione o con personaggi reali. La sensazione che se ne trae è quella di un’invenzione letteraria, di un dono poetico che il Croce offre a un suo protettore, il conte Rodolfo Campeggi a cui è dedicato il componimento, al fine di mantenere, attraverso la testimonianza della propria sudditanza, buoni rapporti per eventuali e future necessità.


Fra i numerosi opuscoli del Croce pubblicati in più riprese, troviamo argomenti che descrivono la vita bolognese nelle sue più svariate sfaccettature, oltre a suggerimenti di vario genere per le più diverse necessità. L’atteggiamento in questi ultimi è di carattere comico teso a suscitare l’ilarità nei lettori come troviamo nella descrizione delle cure da lui consigliate per guarire diversi mali del fisico e far ammalare coloro che erano in salute, proposte nel Il vero, e pretioso tesoro di sanità, nel quale si contengono secreti mirabilissimi, e stupendi per sanare quanti mali possono venire alle persone, e stroppiare quanti sani si trovano al mondo, 25 il cui titolo completo denuncia il trattarsi di una composizione faceta. Le ricette curative del Croce dovevano essere somministrate per i seguenti malanni: "gotta, doglia alla testa, rogna, mal di flusso, catarro, sciatica, tigna, milza, dolor di fianco, spasimo, quartana, opilatione, mal di costa, mal marzucco, mal del fegato, riprensione".


Per dare un’idea degli ingredienti da somministrare ai pazienti, la ricetta seguente è indirizzata verso coloro che soffrivano di catarro, descritta in versi a rima baciata:

 

Al catarro

 

Recipe [Voce latina che si scriveva nelle ricette mediche per introdurre la prescrizione di un rimedio]


Budelle d’un stitico.
Tremor d’un paralitico,
Lingua bovina,
La forca, e la berlina,
Le punte di due stocchi, (1)
Il matto de’ tarocchi,
Foglie di fico,
Promessa d’amico,
Songia (2) di sorbo,
Il buffolo (3) di un orbo,
L’osse di un’herborario, (4)
E fanne alettuario, (5)
E danne al catarroso,
Ch’ei trovarà riposo,
E se con tal ricetta
Non si risana, e netta,
Fagli passar sopra la panza un carro,
Che così guarirà da quel catarro.

(1) stocchi = armi di offesa.
(2) songia = variante arcaica di sugna, l'insieme delle parti grasse e molli (che la pianta del sorbo non ha).
(3) buffolo = il contenitore a forma di bussolotto dove le persone gettavano soldi in elemosina.
(4) herborario = giardino di erbe officinali (che ovviamente non ha ossa).
(5) elettuario = l'insieme di medicine in un'unica composizione.

Il ricorso al matto dei tarocchi ci fa comprendere come quelle carte fossero talmente entrate nella vita quotidiana dei bolognesi da essere utilizzate per ogni situazione, oltre che per l’uso ludico, per cui era normale sfruttarle anche in testi letterari benché di carattere comico, dato che tutti le conoscevano e le amavano. Introdurre nei testi il personaggio del Matto, già per sé ridanciano, contribuiva pertanto ad accrescere ancor più la simpatia verso l’autore.


Per la cura della sciatica troviamo fra i diversi suggerimenti terapeutici l’appendere a una pianta selvatica e a testa in giù il paziente. Non è certamente da escludere che in questo il Croce si sia ispirato alla carta dei tarocchi.

Alla sciatica

 

Recipe

Songia di cervo,
Il salario di un Servo,
E foglia d’ortica,
Una carrozza antica,
Un mattarazzo,
E passa per sedazzo (1)
Queste cose sudette,
Poi metti le manette
Al pover paziente,
E fallo star pendente
Co’ piedi in alto à una pianta salvatica,
Che così guarirà dalla sciatica.

(1) sedazzo = setaccio

Un ulteriore testo del Croce zeppo di ricette medicinali stravaganti, è il volume Secreti di medicina mirabilissimi, del poco eccell. [eccellente] e tutto ignorante, m. Agresto de’ Bruschi, detto il dottor Bragheton. 26 Nella cura per guarire dalle morene [emorroidi] troviamo che un mazzo di tarocchi doveva essere bollito assieme a tre ciuffi di un cane randagio.

A guarir le morene 27

Recipe falci (1) tre d’un Can barbone (2),
Bolliti con un mazzo di Tarocchi,
Con cinque, ò sei roccate (3) di Pavone,
Infusi in acqua da temprar de i stocchi (4),
Scrupoli sei di schiuma (5) di Poltrone,
E se pur par, che ‘l mal l’agravi, ò tochi,
Fagli abbrucciar quattro falcine (6) sotto,
Che le Morene guariran di botto.

(1) falci = baffi.
(2) barbone = randagio.
(3) roccate = le penne più lunghe.
(4) stocchi = grumi.
(5) schiuma = bava.
(6) falcine = fascine.

Nel 'Ad Lectorem' con cui inizia il Pronostico perpetuo e infallibile 28 per l’anno 1617, il Croce chiama questo suo pronostico "Iudicium veritatis" (sentenza di verità) in considerazione della più completa certezza sulle sue affermazioni riguardanti i futuri accadimenti. Stanco di leggere i tanti pronostici che ogni anno venivano pubblicati uno contrario all’altro, si era deciso di porre freno a tanta incompetenza stilandone uno suo. Ma questa non era che una scusa per canzonare la moda della pubblicazione dei pronostici tanto da suggerire, sempre con indirizzo al lettore incredulo sulle sue profezie, di leggere il suo libro dato che “vi sgannarete di quanto vi dico”, cioè “sarete liberati attraverso quanto vi dirò, dalle opinioni errate che vi siete fatti leggendo gli altri pronostici”. Che cosa ha predetto in realtà il Croce? Semplicemente ciò che regolarmente sarebbe sempre accaduto in ogni stagione, come ad esempio che in inverno la gente si sarebbe rintanava nelle proprie case davanti a un bel fuoco giocando a carte o a qualche altro gioco, mentre chi possedeva un maiale lo avrebbe ucciso per farne salsicce e ogni altro ben di dio. Tutto ciò contro le terribili disgrazie o le più sfacciate fortune che altri pronostici prevedevano per tale stagione. Delle trentacinque ottave non numerate che compongono l’opera, nella ventottesima è citato il gioco del tarocchino e diversi altri giochi di carte del tempo laddove il Croce prende in considerazione l’arrivo della stagione invernale, quando tutti a causa del freddo stavano più volentieri in casa a giocare.

Ottava 27

Se ne verrà sì vestita di bianco
In un momento la grande madre antica;
Partiransi, venendo il caldo manco,
La Mosca, la Cicala, e la Formica:
Al Porco forerassi il petto, e ‘l fianco,
E i putti giocaran con la vessica,
E pestando, faransi in molti lati
Mortadelle, Salciccie, e Cervellati.

Ottava 28

Comincierassi à trastullar la sera
Infin ‘hora di cena à Tarocchino,
Chi à pariglia, chi à dadi, e chi à primiera
A giulè, toccadito, à sbaraglino;
Chi perderà, starà con trista ciera,
Chi vincerà, guadagnerà il quattrino,
E più, che d’altro tempo, in ogni loco
Legne s’abbrucieran, per via di foco.

 

Per concludere, il componimento Alfabeto de giuocatori in ottava rima, opera morale di Giulio Cesare Croce, 29 in cui l’autore compie un’ampia disamina sulle qualità umane dei viziosi del gioco di carte. Dal punto di vista della costruzione letteraria, il componimento risulta straordinario per la progressione dalla lettera A alla V (la U è inserita nella V) con la quale il Croce inizia ogni verso delle singole ottave.

 

Avaro è il Giuocatore, et sempre aspira
Al guadagno, per dritta, ò torta strada,
Avido à la moneta, et quando tira
Allegro canta, ma poi par che cada
A terra morto, quando più non mira
Argento, e che del tutto ha fatto vada
Arrabbia di dolor, s’affligge, e strugge,
Anzi come un Leon fremendo rugge.

Bestemmia quando perde, et fortemente
Buffa, soffia, si sbatte, et con ogn’uno
Brava, et l’amico insieme col parente
Bandisce dal suo cor, né prezza alcuno;
Biascica i guanti di stizza, et parimente
Brutta ciera dimostra à ciascheduno,
Batte la moglie, e i figli, et fiamma, et foco
Brama vedere pel mondo in ogni loco.

Compra, vende, baratta, intrica, e imbroglia,
Consuma, impegna, toglie, et dà à partito,
Con tutti si travaglia, et più la voglia
Cresce in lui, quando è più leso è finito,
Contratta à tutti i patti, et si dispoglia,
Curando il giuoco più, che andar vestito,
Corre, grida, cammina, e mai non quieta,
Così trapassa la sua vita inquieta.

Dove si giuoca vedesi bandita
De l’alma Carità l’immenso ardore,
Dico à quei giuochi per farla chiarita
Da zarra, ove non regna alcuno amore,
Da i quai chi più ingannare altrui s’aita,
Dato gli vien frà tutti il primo honore,
Dicchiarandol per saggio è per prudente,
Dotto, ingegnoso, accorto, et diligente.

Erge la mente in alto, et gira, et pensa,
Et sempre cerca via da far danari,
Erra di quà di là. Spende, e dispensa
Empiamente i suoi giorni, et sotto vari
Effetti vive, et con tal nube densa
Ecco s’invecchia, onde in dolori amari
Entra poi, che s’accorge d’haver tale
Error commesso, v’il rimediar non vale.

Freme quando non può trovar moneta,
Ficca hora questo, hor quello, et bene è spesso
Fura, ò commette altr’opera indiscreta,
Facendo simil’arte, il qual concesso
Forsi à tutti non è, perché vieta
Finalmente à colui, ch’in tal eccesso
Fondato hà il suo pensier, ch’à seguitarlo
Forza è robbar, ò haver il modo à farlo.

Giuocan molti per lor trattenimento,
Godendo una gentil recreatione,
Giuocando à giuochi di poco momento,
Giuocondi, e lieti, al tempo, e à la stagione;
Gridar frà lor non s’ode, ma un intento
Giusto, gli appaga tutti di ragione,
Gustando gran piacere, et spasso, senza
Guerra, ne alcuna sorte differenza.

Horrendo è il giuoco, e in odio ogn’un devria
Haverlo, come causa d’ogni male,
Havendo tai difetti in compagnia
Havuti sempre, e quei che seguon tale
Humor son pazzi, e qual più gran pazzia
Haver si può, poi che si getta à male
Honor, reputation, e quanto al mondo
Huomo hà di bello, e buon manda in profondo.

Il giuocator da zarra và sovente
Ingegnandosi, e ogn’hor hà qualche nuova
Inventione, et usa similmente
Industria grande, con la qual ritrova
Il contanto, qual poi allegramente
In compagnia di travagliar le giova,
Intento à cumularlo, et bene, et spesso
Involto resta nel suo laccio istesso.

Leva à la moglie spesso i vestimenti,
Lassandola in affanno, et angonia,
La qual se ben di ciò fa gran lamenti,
Le lagrime, e i sospir son tratti via,
La sua mente sola è, che i suoi talenti,
Le carte, ovvero i dadi portin via,
Li quali poi com’hà mandato à male
Ladro diventa, ò muore à l’Hospitale.

Mette ogni cura, ogni pensier da parte
Manda ogni suo negocio in nulla, et solo
Mira il meschino à maneggiar le carte,
Malamente vivendo, et spesso il duolo
Moltiplica in se stesso, che tal arte
Molte volte fallisce, et simil stuolo,
Matto si può chiamar, che d’hora in hora
Muta pensiero, et si consuma ogn’hora.

Nuota in un mar di latte quando tiene
Ne le mani il danar ch’era d’altrui
Ne trova loco, et quando buon gli viene
Non vuol far patto, pur che tocchi à lui,
Nega il punto tal’hora, onde n’avviene
Nuova rissa, e discordia, e spesso à cui
Nulla colpa non v’ha, toccan le frutte,
Nascon dal giuoco queste cose tutte.

Ordine in se non hà, non hà misura,
Opra sol sempre di gabbar ogn’uno
O che vita infelice, ò che natura
Ove mai non soggiorna bene alcuno,
Onde chi in simil vicio star procura,
Ocioso vive, et di ben far digiuno,
Odiando chi’l riprende, e in tal furore
Offende spesso, chi gli porta amore.

Parco nel far limosina, et larghissimo
Poi nel spender in gola, et in putane,
Privo d’amore, e in lui spasso grandissimo
Piove, quando è frà i giuochi, et le baccane
Prende piacer, e tiensi felicissimo
Praticando frà genti inermi, et vane,
Perch’essendo in tal vicio al fin somerso,
Procaccia seguitarlo in ogni verso.

Quanto ei sia perso in questo, le sue molte
Qualità à tutti il fan palese, e chiaro,
Quali in questo mio foglio havendo accolte,
Quasi come un compendio le dicchiaro,
Quindi mostrando quanto siano stolte
Quelle genti à cui piace il giuoco ignaro,
Quale porge oltre il perder la pecunia
Qualche querela ogn’hor, qualche calunia.

Rare volte si vede allegro, et poco
Ride, se à sorte non ha gran bonaccia,
Ricco sol venire cerca, et per il giuoco
Renega, grida, mormora, et minaccia,
Rapisce ciò che puote mai loco
Ritrova, ma d’ogn’hor cerca, et procaccia
Ridutti ove si giuochi, perche il vero
Ristor de giuocatori è questo in vero.

Sollicito à la crapola, e al dormire
Son queste due sue gratie singolari,
Sol veglia tanto quanto può patire,
Sel giuoco dura, ò manchino i danari,
Sodo, e constante à negare. è mentire,
Sordo à la riprension de suoi più cari,
Splendido in far del resto, e in far altrui
Servicio scarso, e sempre tira à lui.

Trista è tal arte, e tristo quel che spende
Tutto il suo tempo in opra così vile,
Tralassando da parte le facende,
Tirando ogni negocio in questo ostile,
Travagliando la vita, et senza emende,
Trar via la robba, e ‘l tempo con simile
Trattenimento, che l’huom guida al fine,
Tristo è dolente à l’infernal ruine.

Vltimamente dico à quei, ch’à tale
Vicio enorme son dati, et che sovente
Van dietro esercitandolo per male,
Vivendo in barrerie continuamente,
Vengono à offender Dio benigno, il quale
Verso lor sendo stato pàtiente
Vn tempo, mosso al fin da giusto sdegno,
Viene à privarli del suo santo Regno.

 

Note

 

1. Giulio Cesare Croce, Descrittione della vita del Croce; von una esortatione fatta ad esso, da varij animali ne’ loro linguaggi, à dover lasciare da parte la poesia. E dui indici, l’uno delle opere fatte stampare da lui fin’ad hora; l’altro di quelle che vi sono da stampare. Opere curiose, e belle. In Bologna, appresso Bortolomeo Cocchi, al Pozzo Rosso, MDCVIII [1608].
2. Giulio Cesare Croce, Le sottilissime astutie di Bertoldo, dove si scorge un villano accorto e sagace, il quale dopo varii e rari accidenti a lui intervenuti, alla fine per il suo ingegno raro e acuto vien fatto uomo di corte e regio consigliere, opera nova e di grandissimo gusto. Milano, Pandolfo Malatesta, 1608, in die octobris.
3. Pubblicata dapprima a Verona, venne ristampata a Bologna per Vittorio Benacci, s.d., s.n.p.
4. Il componimento venne evidenziato da Alberto Trauzzi, Bologna nelle opere di G. C. Croce. «Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna». Terza serie, vol. XXIII. Bologna, presso la Deputazione di storia patria, 1905. Alcuni dubitano che sia opera del Croce.
5. Dopo che il Ludus Triumphorum mutò in Ludus Tarochorum, con regole ovviamente diverse, venne a essere chiamato gioco dei trionfetti o trionfini quel gioco in cui attraverso il solo utilizzo delle carte numerali e di corte veniva battezzato un seme di briscola, il quale trionfava sugli altri tre. Si veda Trionfi, trionfini e trionfetti.
6. Il Cacasenno, composto da Adriano Banchieri e da altri autori, venne pubblicato unitamente al Bertoldo e al Bertoldino del Croce nel 1620 in occasione della prima stampa di questi racconti con il titolo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Il Canto XVIII si deve al bolognese Benedetto Piccioli.
7. Giulio Cesare Croce, Adriano Banchieri, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Tomo II. In Parnaso italiano ovvero raccolta de’ poeti classici italiani [...]. Tomo LVI. Venezia, presso Antonio Zatta e Figli, MDCCXCI [1791], p. 100.
7. Si vedano Il Bagatto, Etimo e significato di Tarocco, I tarocchi in letteratura II e Scrivendo e taroccando.
9. Giulio Cesare Croce, Adriano Banchieri, Bertoldo con Bertoldino e Cacasenno in ottava rima [...]. In Bologna, nella Stamperìa di Lelio dalla Volpe, MDCCXXXVI. [1736], p. 129. Il canto VIII si deve al ferrarese Fernando Borsetti.
10. Ivi, p. 204. Il canto XII fu opera del ferrarese Ippolito Zanelli.
11. Ibidem.
12. Si veda il paragrafo ‘Primiera contro tarocchi’ in I tarocchi in letteratura I.
13. Su Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, si vedano Trionfi, trionfini e trionfetti e I tarocchi in letteratura III.
14. G.C. Croce, A. Banchieri, Bertoldo con Bertoldino e Cacasenno cit., p. 4.
15. Ms. 3878_XX/8. Bologna: Biblioteca Universitaria.
16. Giulio Cesare Croce, Il trionfo de’ poltroni cit. nel testo. In Firenze, alle Scale di Badia, 1608, s.n.p.
17. Giulio Cesare dalla Croce, Lamento de’ bevanti per la gran carestia del vino e delle castellate di questo anno, opera nova in dialogo. Bologna, Heredi di Gio. Rossi, MDXCVIII [1598], s.n.p.
18. Bologna, presso gli Heredi di Gio. Rossi, 1601.
19. Ferrara, Vittorio Baldini, 1601.
20. G.C. Croce, De gli enimmi cit. nel testo, p. 25.
21. Ivi, s.n.p. [p. 43].
22. Ms. 3878_1/11, s.n.p. Bologna: Biblioteca Universitaria.
23. In Bologna, per Vittorio Benacci, 1602, s.n.p.
24. In I tarocchi in letteratura I.
25. In Bologna, per Costantino Pisarri sotto le Scuole all’Insegna di S. Michele, s.d., s.n.p.
26. Titolo completo Secreti di medicina mirabilissimi, del poco eccell. [eccellente] e tutto ignorante, m. Agresto de’ Bruschi, detto il dottor Bragheton, filosofo da tartufi, astrologo da boccali, e sopraintendente d’bussolotti della mostarda cremonese, con una visita di esso medico, à un’infermo svogliato, e la nota di molti secreti, che il suddetto guarisce. In Bologna, per il Pulzoni, 1695, s.n.p.
27. Morene = termine antico per emorroidi. Cfr. [Felice Passera], Il nuovo tesoro degli arcani farmacologici galenici, chimici, & spagirici. Da frate Felice Passera da Bergamo cappuccino. Infermiero della provincia di Brescia. In Venetia, appresso Giovanni Parè all’Insegna della Fortuna, MDCLXXXIX [1689]. Libro terzo. Distinzione LIX “Dei olij”, p. 626.
28. Giulio Cesare Croce, Pronostico perpetuo et infallibile composto per l’eccellente astrologo detto il Capriccioso, mattematico, filosofo, indovino, architteto & accademico; intitolato al capriccio: dove s’intende delle quattro stagioni dell’anno, primavera, estate, autunno, & inverno. S.l., s.e., s.d., s.n.p.
29. Bologna, Bartolomeo Cocchi, 1610, s.n.p.