Saggi Iconologici sui Trionfi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Il Matto (Il Folle)

 

Attualmente 19 saggi iconologici riguardanti i Trionfi (Arcani Maggiori) di Andrea Vitali sono stati oscurati. Tutti i saggi iconologici saranno disponibili in edizione cartacea  di prossima pubblicazione. Al momento, a titolo di esempio, è reso visibile il seguente saggio Il Matto (Il Folle)



Di Andrea Vitali. Prima stesura  1995

 

 

Giuseppe Maria Mitelli - Cesare Ripa - Tommaso d’Aquino - Diego Lanza - Tommaso d’Aquino - Lorenzo Lippi - Paolo Minucci - Giovanbattista Gelli - Ahuva Belkin - Annibale Guasco - Giotto di Bondone - Vincenzo Cartari - Sebastian Brant - Gianfrancesco Ferrari - Giuseppe Geloso - Aurelio Prudenzio Clemente - Lisa M. Sullivan - Brian Dunkle - Nabucodonosor - Gertrude Moakley - Hieronymus Bosch - Israhel van Meckenem - Pietro Marsilli - San Francesco - Onofrio Zarrabbini - Alfonso de Liguori - Aristotele - Giovan Battista Gelli - Francesco Alberti di Villanova - Giovanni Baptista Ramusio - Jessica Ghezzi - Lothar Teikemeier - Patrizia Serra - Triolo Pomeran da Cittadella - Giovan Francesco Ferrari - Selma Pfeiffenberger - Marco Assirelli - M. Ceccanti - M.C. Castelli - Mario Spinelli - Michael S. Howard - James George Frazer - Vianesio Albergati - Andrea De Marchi - Laura Paola Gnaccolini - Nicola di Antonio - Antonio di Domenico - Girolamo Benivieni - Giordano Berti - Patrick Macey

 

 

 

“Chi si crede esser piu savio de gli altri, quello è più pazzo di tutti”.

 

                                                                           Perche il saggio de’ saggi esser presumi,

                                                                                 Il più folle sei tù di tutti i folli
                                                                    Se non empion tua mente altro che fumi. (fig. 1)

 

La pazzia, secondo una concezione comune, è l’agire senza ragione. Cesare Ripa così la descrive nella sua Iconologia:

 

"[…] non è altro l’esser pazzo, secondo il nostro modo di parlare, che far le cose senza decoro, & fuor dal comune uso de gli uomini per privatione di discorso senza ragione verisimile, ò stimolo di Religione". 1

 

Nella Sacra Scrittura colui che non crede è considerato folle e spesso figure di stolti compaiono nelle Bibbie del xv e xvi secolo a illustrare il Salmo 52 nella traduzione latina della Vulgata (Salmo 53 in Bibbie protestanti): Dixit insipiens in corde suo: non est deus (Il pazzo [insipiens] ha detto nel suo cuore: non c’è Dio). 2

 

Così si espresse al riguardo un religioso del XVI secolo:

 

"[…] so molto bene, che ogn’uno di voi crede senza punto dubitare, che ‘l Salvator del Mondo sia per la salute nostra, & di tutto il Genere humano, & morto volontariamente; & stato sepolto tre giorni, & poscia potentissima, & gloriosissimamente risuscitato, per dare a tutti noi mortali ferma speranza della nostra futura, vera, & reale Resurrettione e nella fine del Mondo prima ch’ei venga a giudicar tutti. Et quando pur tra voi fosse alcuno (il che non credo, ne penso, & non voglia, ne permetta Dio) che dubitasse di articolo di tanta importanza non sarebbe degno del nome Christiano; che verrebbe a dubitare della infinita possanza di Dio, & negare, ch’egli fosse onnipotente, come senza dubio alcuno è; & per conseguenza ch’ei non fosse Dio; il che farebbe a pensarlo, non che a dirlo, una pazzia espressa; Dixit insipiens in corde suo, non est Deus". 3

 

Una Bibbia del sec. XVI riporta la medesima rappresentazione del folle quale si ritrova nelle minchiate di Firenze (fig. 2): un uomo vestito di stracci con penne nei capelli cammina a cavallo di un bastone (fig. 3); tiene in mano una girella e attorno a lui appaiono dei fanciulli (fig. 4). Parlerò della connessione bambini-follia nel prosieguo.

 

Il Ripa fornisce una identica descrizione:

 

"Un’huomo di età virile […] starà ridente, & à cavallo sopra una canna, nella destra mano terrà una girella di carta istromento piacevole, & trastullo de fanciulli, li quali con gran studio lo fanno girare al vento". 4

 

Dallo stesso autore siamo inoltre informati che:

 

"reputandosi saviezza nella Città ad un huomo di età matura, trattare de reggimenti della famiglia, & della Repubblica; Pazzia si dirà ragionevolmente alienarsi da queste attioni, per essercitare giuochi puerili, & di nessun momento". 5

 

Per quanto riguarda la girella, poiché cambia direzione col variare del vento, essa è messa simbolicamente in rapporto con il matto il cui pensiero è incostante, fatto che lo identifica come un personaggio lunare:

 

"Lo stolto (cioè il peccatore) si muta come la luna, che oggi cresce e domani manca: oggi si vede ridere, domani piangere, oggi allegro e tutto mansueto, domani afflitto e furibondo; in somma si muta, come si mutano le cose prospere o avverse che gli accadono. Ma il giusto è come il sole, sempre uguale ed uniforme nella sua tranquillità, in ogni cosa che avviene; perché la sua pace sta nell’uniformarsi alla divina volontà: Et in terra pax hominibus bonae voluntatis (Luca 2: 14)". 6

 

Il peccatore, esultando per la buona fortuna e lamentandosi per la cattiva sorte, è paragonabile a un bambino quando ottiene e perde un giocattolo, mostrando così la sua mancanza di sapienza, la quale per l’Aquino importat quamdam rectitudinem iudicii secundum rationes divinas (implica una rettitudine di giudizio secondo criteri divini). 7 Una legge che consiglia di non attribuire alcuna importanza ai mutamenti della fortuna mondana.

 

Scrive Diego Lanza sul rapporto folle-bambino:

 

"Il ritrovarsi di sciocco e bambino al comune denominatore dell’ingenuità comporta due convinzioni, non sempre chiaramente esplicite, ma che, implicitamente, governano i più abituali atteggiamenti e i più comuni comportamenti. La prima è che il bambino sia un temporaneo sciocco, che vada perciò protetto, corretto ed educato affinché abbandoni il più presto possibile lo stato di stultitiam cui si trova, che abbandoni pensieri, comportamenti, fantasie che appaiono socialmente inadeguati quando non pericolosi. […] La seconda convinzione è che lo sciocco sia nella sua essenza un bambino che non sia potuto mentalmente crescere e non abbia saputo adeguatamente liberarsi delle semplicità della propria infanzia". 8

 

Della sciocchezza dei bambini era convinto Aristotele, probabilmente il primo a sottolineare questo aspetto. Rifiutando di glorificare il bambino, lo assimilò a un nano che per la sua deformità presentava senza dubbio alcuno una mancanza intellettuale: «Tutti i bambini sono nani, ma, progredendo nell’età, nella specie umana si sviluppano gli arti inferiori». 9. E ancora: «Anche fra gli uomini, così anche negli individui maturi conformati come nani, se pure presentano qualche altra facoltà eccezionale, tuttavia risultano deficienti quanto all’uso del pensiero». 10 È la mancanza di intelligenza o forse, più propriamente, il loro inesistente sviluppo intellettuale che permette sia bambini sia agli stolti ottusi di godere degli stessi semplici passatempi.

 

Un esempio del fatto che i matti erano per lo più accompagnati da giovinetti che li burlavano, si trova nelle note di Paolo Minucci al Malmantile racquistato di Lorenzo Lippi. Riguardo alla stanza lxvii, dove si parla di un personaggio chiamato Palamidone, il Lamoni scrive che costui

 

"conduceva seco una quantità di birboni, stracciati, e sudici come era lui. Questo fu un guidone mezzo matto, ma tutto tristo, e al maggior segno birbone, il quale faceva servizio a’ carcerati, e perché continovamente brontolava, dicendo di pazze scioccherie, haveva sempre dietro una gran quantità di ragazzi che lo facevano stizzire". 11

 

L’accademico fiorentino Giovanbattista Gelli nell’opera I capricci del Bottaio, in un dialogo fra Giusto e la sua Anima così scrive al riguardo:

 

G. O to quest’altra, se ella ti piace; che vorrai tu dire, che ogn’uno sia pazzo?

A. Pazzo nò; Ma che ogn’uno ne senta si.

G. O questo è quasi quel medesimo.

A. Sappi Giusto, che ogni huomo n’ha un ramo; ben sai, che è l’ha maggiore uno che un’altro; Ma ecci questa differentia da i savi, à i matti; che i savi lo portan coperto, et i pazzi in mano di sorte che lo vede ogn’uno.

G. Eh tu vuoi la baia.

A. Sta fermo, io te lo vo provare in te stesso, quante volte se tu andato a spasso per casa, ponendo i piedi nel mezo de mattoni, & cercando, con ogni diligentia di non toccare i conventi?

G. O mille volte, et sommi posto à contare i corenti del palco, et à fare si altre cose da bambini.

A. O dimmi un poco se tu havessi fatto coteste cose fuori, i fanciulli non ti sarebbon corsi dietro, come fanno à i pazzi? 12

 

In un volume di viaggi e avventure è riportata una vicenda in cui accorse il viaggiatore e scrittore bolognese Ludovico de Varthema o Barthema (Discorso sopra lo itineraraio di Lodovico Barthema) allorquando venne fatto prigioniero con altri suoi compagni e condotto al “Soldan di Rhada citta dell’Arabia Felice”, dove una delle sue tre mogli, chiamata Regina, si innamorò di lui. Avendo ricevuto come grazia da questa di poter uscire dalla prigione seppur con le catene ai piedi e sotto la vigile custodia delle guardie, il nostro pensò bene di fare il pazzo per liberarsi da quel fastidioso sentimento. Mal gliene capitò, perché appena usciti all’aria aperta, lui e i suoi compagni vennero accolti da una innumerevole schiera di bambini che li tempestarono con sassi. Inoltre, poiché per adempiere alla sua finta natura di pazzo, il Barthema si era completamente denudato, la Regina si dilettava continuamente di vederlo innanzi a sé e non voleva che lui mai la lasciasse. Inoltre, il passo riportato evidenzia, come la minchiata fiorentina di cui alla fig. 2 chiaramente mostra, che i fanciulli inseguendo i matti potevano instaurare con loro vere e proprie zuffe.

 

"Detta Regina ne fece un buon servigio, che ne allargo la prigione, & dette licentia che potessemo andar fuori con le guardie & ferri alli piedi. Essendo io, & il mio compagno, & un Moro tutti tre prigioni cosi in libertà, facemmo deliberatione che uno di noi li facesse matto, per poter sovenir meglio l'uno all'altro. all'ultimo tocco à me di esser pazzo. Havendo adunque pigliato tal impresa, era necessario ch'io facessi quelle cose, che si richieggono à pazzi. Veramente li primi tre giorni ch'io finsi il pazzo, mai non mi trovai tanto tracco, ne tanto affaticato, come allhora, perche di continuo haveva cinquanta, o sessanta mammoli drieto, che mi trahevano de sassi, & mi lapidavano, & io lapidava loro. li qual mi gridavan drieto pazzo, pazzo, & io di continuo haveva la camiscia piena di sassi, & faceva come fanno i pazzi. la Regina di contínuo stava alla finestra con le sue damigelle, & dalla mattina alla sera stava per vedermi, & parlar meco, & essendo da piu huomini sbeffeggiato, accio che piu vera paresse la mia pazzia, cavatami la camiscia andava cosi nudo avanti alla Regina, la quale havea grandissimo piacere quanto mi vedeva, & non voleva ch'io mi partissi da lei". 13

 

L’iconografia artistica del folle, così come descritta, ha origine nelle raffigurazioni dei salmi alla fine del sec. XII, modificandosi sostanzialmente verso la metà del Trecento, per scomparire dai testi religiosi nel secolo successivo. 14 All’interno della pancia dell’iniziale lettera D del Dixit del Salmo 52 Dixit insipiens in corde suo: non est deus, i miniatori medievali raffigurano il folle come un uomo povero, inetto e violento, vestito di stracci o nudo, e con in mano il bastone dalla sommità rigonfia o biforcata. Nei più antichi salteri ha il cranio rasato, a volte a croce in quanto i barbitonsori curavano in tal modo gli insensati per sopprimere in loro l’eccesso di umore melanconico e il pelo che ne era l’espressione. Si porta alla bocca qualcosa di bianco, colore che si oppone agli umori neri. 15 (fig. 5). A volte il folle è raffigurato rivolgersi a un re, oppure, come nella fig. 5, a Dio Padre. Tale rappresentazione si evolverà alla metà del xiv secolo e, mantenendo il richiamo alla follia, diverrà un giullare, sempre legato alla figura del non credente (figg. 67), un ateo o un ebreo (fig. 8). 16 

 

Secondo Ahuva Belkin, la corrispondenza tra malattia mentale vista come scarsa intelligenza e mancanza di fede in Dio implicita nel termine insipiens (e anche stultus), è estranea al termine ebraico Naval. Il significato originale nella lingua ebraica è ‘folle’ in senso morale, cioè l’ignorare la legge di Dio. Non esiste nessuna implicazione che la persona così chiamata sia mentalmente deficiente; anzi, al contrario, sta consapevolmente ignorando i comandamenti. Scrive egli infatti:

 

"Il termine latino insipiens - una traduzione del termine ebraico navàl - manca della connotazione ampiamente negativa che, nel testo ebraico originale, toglie il navàl del Salmo dalla sfera della follia come insanità mentale e lo colloca entro una specifica categoria di eresia. Il navàl biblico non è - come la follia - messo a confronto con la saggezza come facoltà intellettuale, ma piuttosto con la saggezza del fare la cosa giusta, in un ordine che lega armoniosamente la vita e il comportamento sociale dell’individuo con il principio della legge divina". 17

 

Con i termini insipiens e stultus, tuttavia, i miniaturisti medievali ebbero l’opportunità di creare una figura divertente che poteva essere facilmente ricordata per illustrare la figura rappresentativa del Salmo, la cui deficienza morale appare come il risultato di insufficienza mentale. Nasce così una figura dall’animo malvagio e infedele (come indicato dal salmo originale), ma anche malata di mente (proveniente dalla Vulgata e dai tardi esegeti). «Si istituisce pertanto il paragone fra il pazzo, colui che per indole è al di fuori delle regole di convivenza civile, e l’infedele, l’uomo che non ammette e non rispetta le leggi di Dio. L’insipiens, che a causa della propria infedeltà perpetua il male, è un ‘pazzo moralmente’ e dunque rappresentato come un ‘pazzo malato’». 18

 

Nella minchiata fiorentina sopra riportata (fig. 2) e nei seicenteschi Tarocchini del Mitelli (fig. 9), il folle-insipiens assieme alla girella è raffigurato con uno o due palloncini appesi al bastone, come ritroviamo nelle immagini del folle già dal sec. XV (figg. 10 - 11). Per comprendere la presenza di questo oggetto occorre risalire all’etimo della parola ‘folle’, dal latino follis cioè ‘vescica, sacca, soffietto o pallone’. Nel VI secolo il suo significato si amplificherà indicando la persona priva di senno, la cui testa venne assimilata all’inconsistenza del pallone, ovvero della sacca di pelle di maiale. 19

 

Trattando di coloro che si vestivano da pazzi in occasione dei carnevali, Annibale Guasco (1540-1619) riporta una serie di elementi con cui questi si addobbavano per dare il più possibile l’idea di essere degli stolti e fra questi le vesciche, che l’autore satireggia con i versi “Che di pensier leggiero / Senza cervello in capo dà segnale / La vessica” nel suo Madrigale 161 Conformità delle vessiche, et de’ sonagli al maschero da pazzo:

 

Non è senza mistero

Nel Maschero da Pazzo il vessicarsi.

Come si vede far, & sonagliarsi;

Che di pensier leggiero

Senza cervello in capo dà segnale

La vessica; e ‘l sonaglio mostra quale

Con eterna inquiete il furor sia,

Di sempre vacillante fantasia. 20

 

Il riso del folle, quale si ritrova nella carta del cosiddetto Tarocco di Carlo VI e in quella di Ercole I d’Este, è “facilmente indicio di pazzia, secondo il detto di Salomone; però si vede che gli uomini reputati savij, poco ridono, & Christo N.S. che fù la vera saviezza, & sapienza, non si legge, chi ridesse giamai”. 21 Un’incisione cinquecentesca di anonimo mostra un folle che ride davanti a un angelo il quale si chiude gli occhi per non assistere a tanta scelleratezza (fig. 12).

 

Nella carta miniata dei Tarocchi Colleoni Baglioni il folle porta sulla testa delle penne e tiene un bastone su una spalla (fig. 13). Una figura simile è stata dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, quale raffigurazione della Stultitia 22 (fig. 14), dove l’allegoria viene ampliata ulteriormente dalla presenza delle piume sulla testa del personaggio. Occorre innanzitutto considerare che ali, piume e penne rappresentavano per gli antichi simboli della velocità. II Cartari nella sua opera Imagini delli dei de gl’antichi indica le penne come attributo del sole a significare la velocità del suo percorso. A proposito della presenza di piume sul capo di Mercurio, l’autore si esprime in questo modo: “Furono poi date le penne à Mercurio […], perche nel parlare di che egli era il Dio, o che significava forse anco la cosa stessa, le parole se ne volano per l’aria non altrimenti, che se havessero l’ali. Onde Omero chiama quasi sempre le parole veloci alate e che hanno penne”. 23 Inoltre, Mercurio era il dio dell’eloquenza e le parole eloquenti volano sempre più veloci di quelle che non lo sono, mentre il sole era un’immagine di dio stesso, e come tale di assoluta bontà oltre che di intelletto senza limiti.

 

Le penne presenti sulla testa del folle rappresentano pertanto ciò che al folle stesso manca, cioè velocità d’ingegno e d’intelletto oltre ad adeguate parole, contro la sua superbia di sentirsi in grado di scrivere, grazie alle penne presenti sul suo capo, chissà quali verità. Infatti, il lucchetto che si trova nella bocca dello stolto, come dipinto da Giotto, assume questa funzione poiché il matto altrimenti direbbe solo stoltezze, come descritto nel passo biblico: “[...] le labbra dello stolto lo mandano in rovina, il principio del suo parlare è sciocchezza; la fine del suo discorso pazzia funesta” (Eccl. 10:12, 13).

 

Nella versione della Vulgata troviamo un’enfatizzazione della dimensione morale attraverso l’espressione error pessimus: “[...] labia insipientis praecipitabunt eum; initium verborum eius stultitia et novissimum oris illius error pessimus ([...] le labbra di uno sciocco [insipientis] inghiottiranno sé stesso; l’inizio delle parole della sua bocca è follia [stultitia], e la fine del suo discorso è un errore gravissimo [error pessimus])”.24 Non solo il pazzo manca quindi di parole che volano con l’eloquenza di un Mercurio e l’intelletto del sole, ma le sue parole sono un errore pericoloso. Un motivo in più che giustifica il lucchetto posto nella bocca dello stolto. Il pericolo era reale perché in molti ascoltavano le loro parole considerandoli novelli Orfei come riporta Giovan Francesco Ferrari che nelle sue Rime scrive:

 

Perche trovisi il Matto in piazza, o fuore,

Par subito un’Orfeo: ognun l’ascolta

Con gran piacere, e attention di core. 25

 

 

 

Il folle sul pulpito

 

 

                               Hans Holbein il Giovane (1497-1543), Il folle dal pulpito inizia il suo sermone. 

                           Disegno a penna e inchiostro. Da Erasmo da Rotterdam, Praise of folly, Basel, 1515.

        La scritta latina nella parte superiore Mala audiranno significa che gli ascoltatori udranno parole senza senso. 

                                                                    Basel: Switzerland Kunstmuseum. 

 

 

Sebastian Brant nell’opera Der narrenschiff (La nave dei folli) del 1494, al sonetto LVII ‘Sulla Divina Provvidenza’, così scrive a proposito della presunzione dei folli: “Matti è dato persino di trovare, / Che con lo Scritto pretendon d’indorare / Le loro penne, e si credono sapienti”. 26 Le piume poste sulla testa dell’Insipiens / Stultus assumono inoltre il ruolo di una corona in quanto egli si considera un re in grado di diffondere attraverso i propri scritti profonde verità. Padre Giuseppe Geloso nel suo Quaresimale rivolgendosi allo stolto lo ammonisce suggerendogli di guardare il pavone allorché di sé stesso invaghito per vanagloria fa la sua superba ruota, ma che poi nel guardare le proprie zampe così brutte e deformi, avvilito e vergognandosi di sé medesimo emette un grido di dolore chinando le penne. Così si esprime l’autore:

 

"Huomo mortale, che sei più altiero d’un Pavone, qualora arai considerate le grandezze, le bellezze, le scienze, gl’onori, la gioventù, per le quali ti sei impennato, penne a punto, che volano nel tuo pensiero, facendo di quelle pomposa mostra, ruotandole d’intorno intorno con tuo diletto, ch’à guisa d’un altro Dio in terra perpetuarti brami, guarda i piedi, mira, mira al fine, oh che son brutti e sozzi? Sordes eius in pedibus eius, disse il Profeta (Thren. 1. n. 9) non ritroverai altro se non morte, sepolcro, cenere, e vermi... Mira, mira sciocco i piedi: Guarda, guarda stolto il fine". 27

 

Il Folle dei Tarocchi Colleoni-Baglioni e il personaggio raffigurato nella Stultitia di Giotto sono scalzi con tutte le conseguenze che ne derivano, cioè piedi sporchi con un’estrema facilità alle ferite. Senz’altro piedi non degni di nessun re o divinità. Sempre a riguardo delle penne, esse esprimono simbolicamente la leggerezza del cervello del matto, privo del peso del cervello. Scrive al riguardo Pandolfo Collenuccio: “Voglio ancora, che tu sappi, che da Gallo è detto un verbo, che si chiama gallare, che altro non vuol dire, che insanire, et esser pazzo. Appreso, queste penne di Grue, de Papagallo, di Gaza, et di Struzzo, che spesso mi figgi nella prega, altro non significano, che leggierezza di chi le porta; et che in proverbio ancora, alcuno si dice esser più leggiero d’una penna”. 28 Inoltre, data la sua vanagloria, il folle si sentiva un re, per cui le penne come dipinte da Giotto lo qualificano sì come re, ma re della pazzia.

 

Una ulteriore lettura sulla provenienza delle piume sul copricapo, fa risalire il simbolo al gallo ucciso durante le Feste dei Folli: tipica della festa era la gara che premiava colui che, seppur bendato, fosse riuscito a colpire l’animale a bastonate. Il vincitore era premiato con una corona composta dal piumaggio dell’animale e con il titolo di ‘Re del Gallo’, o ‘Re dei Folli’. 29 Questa festa rappresentava un’inversione di tutti i valori celebrati durante il resto dell’anno; nulla era troppo sacro per essere risparmiato, in particolare la religione cristiana, forza che permeava ogni cosa. 30 Questo aspetto richiama il famoso inno di Prudenzio Hymnus ad galli cantum (Inno al canto del gallo), dove il canto non si riferisce al mattino vero e proprio ma al passaggio dalla notte al giorno, dal buio alla luce, al risveglio fisico messo simbolicamente in relazione con il risveglio spirituale. Così recita il suo inizio:

 

Ales diei nuntius

lucem propinquam praecinit;

nos excitator mentium

iam Christus ad vitam vocat.

 

(L’uccello messaggero del giorno

Annuncia la luce vicina:

Colui che risveglia le anime,

Cristo, già ci chiama alla vita).

 

e si chiude con:

 

Tu, Christus, somnum dissice,

tu rumpe noctis vincula,

tu solve peccatum vetus,

novumque lumen ingere.

 

(Tu, o Cristo, frantuma il nostro sonno,

spezza i legami della notte,

dissolvi il nostro antico peccato

e versa nuova luce). 31

 

Seppur il gallo non venga menzionato nei versi, risulta ovvia la sua identità, se non altro dal titolo dell’inno. Lisa M. Sullivan, scrivendo di questo inno, osserva:

 

"Il gallo, tradizionale simbolo di vigilanza riguardante l’arrivo della luce e del giorno, è anche un segno di pentimento dei peccatori (in particolare di Pietro, che ‘pianse lacrime amare’ dopo aver negato di conoscere Cristo), ma anche più specificamente assicura che il gallo sia visto come una rappresentazione di Cristo stesso [...]. Con questo significato simbolico primario, gli altri rientrano con poco sforzo". 32

 

Allo stesso modo Brian Dunkle, in uno studio sugli inni di Ambrogio, sostiene che quest’ultimo «communicates the identity of the rooster and Christ in symbolic language» (comunica l’identità del gallo e di Cristo in un linguaggio simbolico), mentre Prudenzio «uses explicit identifications» (usa identificazioni esplicite). 33In ogni caso, tale simbolo sacro era reso oggetto di scherzo in occasione della Festa dei Folli. 34

 

La testa piumata ricorda inoltre la trasformazione del nemico del popolo di Dio Nabucodonosor, il quale venne punito da Dio con la follia, con conseguente trasformazione del corpo in essere selvaggio:

 

"A te io parlo, re Nabucodònosor: il regno ti è tolto! Sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie della terra; ti pascerai d’erba come i buoi e passeranno sette tempi su di te, finché tu riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo dà a chi vuole”. In quel momento stesso si adempì la parola sopra Nabucodònosor. Egli fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli (Dn 4:28-30)".

 

Esiste inoltre un possibile significato riguardante il numero delle penne: sette sia nella raffigurazione di Giotto che nei Tarocchi Colleoni-Baglioni. Al riguardo Gertrude Moakley così commentò questo numero:

 

"Le sette piume nei suoi capelli e gli indumenti penitenziali stracciati che indossa, mostrano che si tratta della personificazione della Quaresima, che mette fine alla stagione del Carnevale. Secondo l’usanza, una delle sue penne verrà estratta alla fine di ogni settimana in Quaresima. La figura della Quaresima sarà distrutta in effige il Sabato Santo, quando il digiuno finisce". 35

 

Il bastone che ritroviamo in alcune raffigurazione iconografiche del matto e nei quattrocenteschi tarocchi di Carlo VI rappresenta il suo scettro, in quanto come detto egli si sente un re. Se è vero che solo un matto può pensare di esserlo al pari dei fanciulli quando giocando impersonano i personaggi delle favole, questa loro convinzione rendeva i pazzi personaggi da evitare, in quanto pericolosi per la loro incapacità di ragionare sulle situazioni e che potevano diventare isterici laddove si fossero messe in dubbio le loro affermazioni. I pazzi stessi, ritenendosi in realtà savi, temevano le azioni delle persone che ragionavano, tanto da sentirle a loro volta pericolose, considerandole pazze.  Motivo per il quale andavano girovagando con un bastone nelle mani, dato che non avevano i denari sufficienti per acquistare una buona spada. Se da un lato il bastone era l’arma dei pazzi, con un bastone si pensava di poterli rendere savi attraverso una buona dose di legnate. “Pazzo da bastone” fu l’espressione usata per sottolineare il carattere dei pazzi bisognosi di essere curati in tal modo oppure di castigarli per le loro malefatte. Ma non tutti concordavano su questa cura, tanto da ritenere pazzi coloro che avrebbero scommesso sulla sua efficacia. 36

 

Nei Tarocchi di Ercole I d’ Este, il Folle appare praticamente nudo. A questo proposito il Ripa scrive riguardo la Stoltitia che “il Pazzo palesa i suoi difetti ad ogn’uno, & il savio li cela, & perciò si dipinge ignuda, & senza vergogna”. 37 Nel cosiddetto Tarocco di Carlo VI, il Folle porta sul capo un berretto con due grandi orecchie d’asino a significazione della sua natura bestiale e indossa uno slip dall’incredibile foggia moderna (fig. 15). L’immagine è praticamente simile a quella di un folle raffigurato in una bibbia bolognese della seconda metà del XV secolo (fig. 16) che reca il solito bastone, ma in modo che questo sembra trafiggergli il palmo, come ritroviamo in modo più evidente in una xilografia della già menzionata opera del Brant (fig. 17) dove il matto si appoggia non più a un bastone, ma a una canna. Il fatto che la canna sia spezzata e trafigga il palmo del folle è inevitabile conseguenza dell’appoggiarcisi sopra, in quanto essendo fragile, dato il suo vuoto interno, può spezzarsi creando inevitabili conseguenze dolorose. Come da Matteo 28, i Romani misero sopra il corpo del Cristo una veste ruvidissima di porpora per burlarsi della sua ambizione di considerarsi un re; una corona di spine credendolo superbo e infine una canna che lo indicava come pazzo, profanandolo nell’onore, e volendo intendere che, come la canna era priva al suo interno di consistenza materiale, così la persona e la testa del Cristo erano prive di senno. 

 

Il sedere su un gambero accomuna il folle all’incedere del crostaceo, ritenuto incostante. Per la stessa ragione il Ripa considera il granchio un simbolo di irresolutezza: "Il granchio è animale, che cammina inanzi, e indietro, con eguale dispositione, come fanno quelli che sono irresoluti, or lodono la contemplazione, hora l’attione, hora la guerra, hora la pace”. 38

 

Una variante iconografica riguardante la rappresentazione del Folle / Misero si trova nei cosiddetti Tarocchi del Mantegna, dove la veste stracciata manifesta la lacerazione della sua anima, così come i rami secchi e il muro diroccato, e soprattutto dove la sua figura viene aggredita da un cane a un polpaccio (fig. 18). Questa tipologia figurativa rimarrà stabile per buona parte della produzione seguente dei trionfi. In cima al bastone appoggiato sulla spalla, apparirà anche una specie di fardello. La presenza di un cane vicino a un misero viandante è tipica nell’arte figurativa medievale, non discostandosi da quella che fu la realtà oggettiva, in quanto quest’animale abbaiava e aggrediva sovente i vagabondi che si avvicinavano alle case per chiedere la carità. Un celebre esempio si trova nella rappresentazione del Figliol prodigo (fig. 19) e del Cammino della vita nel Trittico del Fieno di Bosch.

 

Nelle miniature dei salteri medievali il cane si lega indissolubilmente allo stolto. Esso è insignito di una connotazione negativa per la sua abitudine di rimangiare il proprio vomito, come un peccatore che dopo aver peccato ed essersi confessato, cade ugualmente in tentazione: Sicut canis revertitur ad vomitum suum, sic imprudens qui iterat stultitiam suam (Proverbi 26: 11). Lo ritroviamo nella Bibbia francese del 1356-1357 (fig. 20), in cui il folle è il padrone dell’animale, e nel Salmo 52 della Bible historiale della Bibliothéque de l’Arsenal di Parigi (fig. 21), in cui l’insipiens  si difende o prova ad aggredire un cane rabbioso. Di estremo interesse riguardante il rapporto folle-cane appare un’incisione del sec. xv di Israhel van Meckenem (fig. 22). Il simbolismo diabolico collegato agli strumenti a fiato - piffero e cornamusa, contrapposti ai celestiali strumenti a corda - connota il carattere negativo dell’incisione. Potremmo pensare anche a un’associazione con la parola ‘folle’ in latino, che significava ‘sacco’ o ‘soffietto’: quindi ‘folle’ come un sacco d’aria, vuoto, senza contenuto, così come è il sacco della cornamusa. Tutti gli strumenti ad ancia che emettevano un suono pastorale erano considerati diabolici in quanto si trattava degli strumenti suonati dai sileni, dai satiri e sommamente da Pan, demoni per la Chiesa:

 

"Non è necessario referir le bagatelle delle quali Mercurio tanto si diletta, ne di Sileno, che sempre si trova haver bevuto da vantaggio, ne de Satiri, che sempre ballano ne de Pan, che con ’l suono della sua sampogna sempre canta canzoni da ridere, e per dar più piacere à chi l’ascolta, il volto con more et grani di ebule si tinge". 39

 

Un ulteriore esempio è rappresentato da un folle giullare presso la Chiesa di Santa Maria la Real a Najena del XV secolo, dove si mostra con il vestito aperto sul davanti volendo mostrare ciò che gli altri nascondono e suonando una cornamusa. Ai suoi piedi gli sono compagni due cani (fig. 23). D’altra parte, la presenza di questo animale accomuna il giullare-folle al misero, creando un ponte fra le due varianti iconografiche.

 

Fra le prime carte di tarocchi troviamo il Matto nell’atto di suonare la cornamusa nel mazzo Sola-Busca, così chiamato dai suoi originali proprietari, attribuito dagli storici dell’arte alla fine del secolo XV secondo lo stile ferrarese. 40 (fig. 24) La cifra araba 0, riportata nella carta in forma di un cerchio vuoto, suggerisce probabilmente il vuoto di cervello del Folle. Le lettere ‘ma’ e ‘to’ appaiono nella parte superiore della carta sull’uno e l’altro lato. Sulla sua spalla sinistra è presente un corvo nero: i due si guardano come se si specchiassero uno nell’altro. L’uccello rappresenta l’uomo irresoluto e peccatore, reso nero dalle sue colpe. Il Ripa così scrive infatti alla voce Infortunio riguardante un simile personaggio tenente «nella sinistra [mano] un Corvo» così come appare sulla spalla sinistra del Mato:

 

"L’infortunio, come si raccoglie d’Aristotele, è un evento contrario al bene, & d’ogni contento: & il Corvo non per esser uccello di male augurio, ma per essere celebrato per tale da’ Poeti, ci può servire per segno dell’infortunio: si come spesse volte, un tristo avvenimento è presagio di qualche maggior male soprastante, & si deve credere, che vengano gl’infelici successi, & le ruine per Divina permissione, come gli Auguri antichi credevano, che i loro augurij fussero inditio della volontà di Giove. Quindi siamo ammoniti a rivolgerci dal torto sentiero dell’attioni cattive, al sicuro della virtù, con la quale si placa l’ira di Dio, & cessano gli infortunij". 41

 

Riguardo l’Irresolutione lo stesso autore afferma:

 

"Donna […] con un panno nero avvolto alla testa […] Le si dà i Corvi per ciascuna mano in atto di cantare, il qual canto è sempre Cras, Cras (Domani, Domani, in latino), così gli huomini irresoluti differiscono di giorno in giorno, quanto debbono con ogni diligenza operare, come dice Martiale. Il panno nero [come il corvo] avvolto alla testa, mostra l’oscurità e la confusione dell’intelletto, per la varietà de pensieri, i quali lo rendono irresoluto". 42

 

A questo punto occorre considerare un altro importante aspetto della follia, quello legato alla sua visione mistico-sacrale. L’Epistola ai Corinti godette nel Rinascimento di grande importanza. Alcuni suoi passi riflettono il rapporto esistente fra la Follia e il Divino: “La parola della Croce per quelli che si perdono è una pazzia” (I Cor. 1: 18); “Nessuno inganni sé stesso: se alcuno fra voi crede di essere savio della sapienza di questo secolo, diventi stolto per essere sapiente. Poiché la sapienza di questo mondo dinanzi a Dio è stoltezza” (I Cor. 3: 18-19). Solo la rinuncia di sé e dei propri beni materiali può, secondo il pensiero cristiano, condurre l’uomo a Dio. Il folle, per queste prerogative che gli erano proprie, veniva a volte considerato un ispirato e a un passo dal Divino. Sempre Brant così satireggia i folli vanagloriosi: “Credon che Dio li ha beneficati / E i Suoi doni per sempre lor lasciati”. 43

 

Sulla divinità del folle in rapporto ai tarocchi, risulta illuminante un foglio manoscritto di anonimo del sec. XVI, 44 individuato dallo scrivente e sottoposto per un’analisi critica al prof. Pietro Marsilli in occasione della mostra ferrarese del 1987 presso il Castello Estense di Ferrara. 45 Per conquistare il cuore di una dama di corte, una certa Mamma Riminaldi, all’anonimo autore non rimaneva altro che estrarre una carta dal mazzo dei tarocchi, cioè il Matto “ch’è cervel divino”. Per questo motivo la più antica lista di tarocchi conosciuta, il Sermo perutilis de ludo cum aliis, pone ‘El matto’ accanto a ‘El mondo cioè a Dio Padre’, anche se gli viene attribuito il numero zero e definito come il ‘nulla’.

 

Il pensiero della scolastica che mirava ad avvalorare le verità di fede attraverso l’uso della ragione, accumunò nella categoria dei folli, come sopra abbiamo evidenziato, tutti coloro che non credevano in Dio. 46 (fig. 25). Nei trionfi dei tarocchi la presenza del Matto / Folle acquista pertanto un ulteriore e profondo significato: in quanto possessore di ragione ma non credente, egli sarebbe potuto diventare non solo un credente senza la necessità di argomentazioni intellettuali che giustificassero quanto sentiva nel suo cuore, ma, attraverso gli insegnamenti espressi dalla scala mistica, anche ‘Folle di Dio’, condizione che trova la massima espressione nel santo più popolare, cioè Francesco, che fu chiamato ‘Lo Sancto Jullare e il Sancto Folle di Dio’: «Non fu mai el più bel sollazzo / Più giocondo, ne maggiore / Che per zelo e per amore / Di Iesù diventar pazzo. /… / Ognun gridi com’ io grido / Sempre pazzo, pazzo, pazzo». 47

 

Per concludere, al Matto si deve il significato di ‘Tarocco’, con la sostituzione avvenuta verso la fine del sec. XV del precedente Ludus Triumphorum in Ludus Tarochorum in quanto in contesti non-ludici la parola ‘tarocco’ possedeva proprio il significato di ‘folle’. 48

 

 Note

 

1. Cesare Ripa, Iconologia overo descrittione di diverse imagini cavate dall’antichità, & di propria inventione. In Roma, appresso Lepido Faeij, M.DC.III. [1603], p. 381.

2. Nella Vulgata: Salmo 52; nella versione di re Giacomo: Salmo 53:1.

3. Onofrio Zarrabbini, De’ ragionamenti famigliari, utili, brevi, et facili, sopra l’Epistole, & gli Evangeli di tutte le domeniche. Parte prima. In Venetia, appresso Gio. Battista Somalco, 1587. “Ragionamento primo nella undicesima domenica dopò la Pentecoste”, p. 68.

4. C. Ripa, Iconologia cit., p. 381.

5. Ivi, p. 382.

6. Alfonso de Liguori, Apparecchio alla morte cioè considerazioni sulle massime eterne utili a tutti per meditare, e a’ sacerdoti per predicare. Torino, presso i Fratelli Pomba Libraj, 1809, p. 383. L’opera venne scritta nel 1758.

7. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II-45-2.

8. Diego Lanza, Lo stolto. Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune. Torino, Einaudi, 1997, p. 165.

9. Aristotele, Lparti degli Animali, 686 b, 10.

10. Ivi, 686b, 25.

11. Perlone Zipoli [Lorenzo Lippi], Malmantile racquistato, poema, con le note di Puccio Lamoni [Paolo Minucci]. In Firenze, nella Stamperia di S.A.S. alla Condotta, 1688, p. 178.

12. Giovan Battista Gelli, I capricci del Bottaio. In Firenze, s.e., MDXLIX. [1549], p. 81. Prima edizione 1548. Conventi erano chiamati i giunti cioè gli spazi intercorrenti tra un mattone e l’altro, mentre corenti (correnti), i travicelli quadrangolari, lunghi e sottili utilizzati specialmente per fare palchi e coperture di edifici, adattandoli fra trave e trave. In riferimento a questo secondo termine cfr. Abate Alberti da Villanova, Voce Cor, in Dizionario universale enciclopedico della lingua italiana. Tomo secondo. Milano, per Luigi Cairo, 1825. p. 281

13. Giovanni Baptista Ramusio, Primo volume delle navigationi et viaggi nel qual si contiene la descrittione dell’Africa et del paese del Prete Ianni, con varii viaggi, dal mar Rosso à Calicut [...]. In venetia, appresso gli Heredi di Lucantonio Giunti, l’Anno MDL [1550], c. 165v.

14. Jessica Ghezzi, Follia e insipienza. Indagine iconografica nell’arte devozionale tedesca ed emiliana tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, p. 25. Tesi di laurea magistrale in iconografia e iconologia. Lettere e Beni Culturali. Anno Accademico 2016/2017. Università di Bologna. Lo scrivente ha svolto il ruolo di Correlatore.

15. Sul ruolo e la figura del folle in riferimento all’aspetto della malinconia e la sensata e insensata follia che caratterizza la processione dei trionfi, si veda Follia e ‘Melancholia’.

16. Ringrazio Lothar Teikemeier, curatore del sito trionfi.com, per averci informato sull’esistenza di questa miniatura.

17. Ahuva Belkin, Suicide scenes in latin psalters of the thirteenth century as reflection of Jewish midrashic exposition. «Manuscripta», XXXII, n. 2, luglio 1988, pp. 75-92.

18. J. Ghezzi, Follia e insipienza cit., p. 26.

19. Patrizia Serra, Il sen della follia. Cagliari, C.U.E.C., 2002, p. 47 / Maurice Léver, Le sceptre et la marotte. Histoire des fous de la cour. Paris, Fayard, 1983, p. 66.

20. Annibal Guasco, Tela cangiante. In madrigali tre mila, cento dieci. Opera morale dilettevole, et utilissima. Con un filo, che ne manifesta tutto l’ordimento. In Milano, per l’herede del quon. Pacifico Pontio, & Gio. Battista Piccaglia, Impressori Archiepiscopali, 1605, p. 55.

21. C. Ripa, Iconologia cit., p. 381.

22. Nei riguardi del Matto quale incarnazione della Stultitia così si esprime Triolo Pomeran da Cittadella nei suoi Triomphi composti sopra li terrocchi in laude delle famose gentil donne di Vinegia del 1534nell’ottava che descrive la donna veneziana alla quale corrispose la carta del Matto:

 

Matt

 

   Magnanima, gentil, accorta, e santa

   Mostras’ in l’opre sue stupende, e rare,

   Nicolosa Cornera, de cui canta

   Il sacro Apollo, e le sue Nymphe care

   Non potria ingegno human referir quanta

   Beltat’ in lei se scorgie, e virtu appare,  

   Hor perch’a tempo sa finger stultitia

   Costei col Matto havea preso amicitia.

 

23. Vincenzo Cartari, Le imagini de i dei de gli antichi. In Venetia, appresso Giordano Ziletti, e compagni, M.D.LXXI [1571], p. 322.

24. Cfr. Sebastian Brant, La nave dei folli, a cura diFrancesco Saba Sardi. Milano, Spirali, 1984, p. 140.

25. Giovan Francesco Ferrari, Le rime burlesche sopra varii, et piacevoli soggetti; indrizzate à diversi nobili signori. Nuovamente composte & date in luce. In Venetia, appresso gli Heredi di Marchiò Sessa, MDLXX [1570], c. 4r.

26. Qui le parole ebraiche sono ‘hō·w·lê·lūt’, significanti “follia” e ‘rā·’āh’ cioè “cattive, perfide”

Si veda http://biblehub.com/interlinear/ecclesiastes/10-13.htm

27. Giuseppe Geloso, Quaresimale overo discorsi sopra tutti i Vangeli della Quaresima [...].Parte seconda.In Venetia, appresso Paolo Baglioni, MDCXLIX [1649], p. 78.

28. Pandolfo Collenuccio, Il Filotimo.In Bergamo, per Comin Ventura,MDXCIIII [1594]. c. 5v.

29. Selma Pfeiffenberger, The iconology of Giotto’s virtues and vices at Padua. Bryn Mawr College, University Microfilms, Inc. Ann Arbor Michigan, 1966, V. 7-9, in Marco Assirelli Il codice miniato: rapporti fra codice, testo e figurazione. Atti del III congresso di storia della miniatura, a cura di Melania Ceccanti e M.C. Castelli. Firenze, L. S. Olschki, 1992, p. 32.

30. Si veda Officium lusorum.

31. Prudenzio, Gli inni quotidiani. Le corone dei martiri. Introduzione, traduzione e note a cura di Mario Spinelli. Roma, Città Nuova, 2009, p. 67.

32. Lisa M. Sullivan, Bursting the bonds of night: images of the Apocalypse in the ‘Cathemerinon’ of Prutentius (Ricchi i legami della notte: immagini dell’Apocalisse nel ‘Cathemerinon’ di Prudenzio). «Studia Patristica». Vol. XXXVIII. Documentazione presentata in occasione del tredicesimo congresso internazionale di studi patristici tenutisi a Oxford nel 1999. Louvain, Peeters Publishers, 2001, p. 477.

33. Brian Dunkle, Enchantment and creed in the hymns of Ambrose of Milan. Oxford University Press, New York, 2016, p. 199.

34. Ringrazio il prof. Michael S. Howard per questa informazione.

35. Gertrude Moakley, Le carte dei tarocchi dipinte da Bonifacio Bembo per la famiglia Visconti-Sforza, uno studio iconografico e storico. New York, New York Public Library, 1966, p. 113. La fonte della Moakley, come ella scrive a p. 114, fu il saggio The golden bough (Il ramo d’oro) nella versione integrale di G.J. Frazer, The dying God. Pt. III. London, 1950, pp. 244-145. In maniera più completa, questa informazione si trova nel vol. 4 della III edizione. Frazer descrive la figura come una donna anziana, con le piume conficcate nel frutto o nella verdura che porta indosso; la testa non è menzionata. Ringrazio Michael S. Howard per questa informazione.

36. Per un maggior approfondimento sulla presenza del bastone nelle mani del matto si veda Il simbolismo del bastone nella carta del Matto.

37. C. Ripa, Iconologia cit., p. 478.

38. C. Ripa, Iconologia cit., p. 225. Per approfondimenti si veda Il folle sul gambero - sec. XVI.

39. Vianesio Albergati, La pazzia. S.l., s.e., 1546,s.n.p.

40. Andrea De Marchi, Nicola di maestro Antonio da Ancona peintre-graveur tra vis comica e invenzioni esoteriche, in Laura Paola Gnaccolini (a cura) Il segreto dei segreti: I Tarocchi Sola Busca e la cultura ermetica-alchemico tra Marche e Veneto alla fine del Quattrocento. Milano, Skira, 2012, pp 61-73. Per il De Marchi il mazzo è da attribuirsi a Nicola di maestro Antonio, figlio del pittore fiorentino Antonio di Domenico emigrato ad Ancona.

41. Cesare Ripa, Iconologia. In Siena, Appresso gli Heredi di Matteo Florimi, 1613, p. 372.

42. Ivi, pp. 380-381.

43. S. Brant, La nave dei folli cit. Sonetto lvii, p. 140.

44. Due sonetti amorosi in Gaspare Sardi, Adversaria [...], cod. lat. 228 = α. W. 2, II, Modena: Biblioteca Estense.

45. Si veda G. Berti, A. Vitali (a cura), Le carte di corte. I tarocchi. Gioco e magia alla corte degli Estensi. Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1987, pp. 107-108.  Catalogo della mostra omonima (Ferrara, Castello Estense, 1987). Si veda inoltre I tarocchi in letteratura I.

46. A volte coloro che non credevano venivano condannati a morte. In una nota di alcuni documenti che illustrano la superstizione in Italia raccolti nel Museo psicologico di Firenze troviamo “Carte da gioco che appartennero ad un vecchio prussiano detto Tarocco, condannato alla forca come incredulo. Gli servivano per fare pronostici” in Archivio per l’antropologia e la etnologia. Vol. 27. Firenze, Società italiana di Antropologia e Etnologia, 1897, p. 483.

47. Laude dello amore di Iesù Cristo chiamata la savia pazzerella, canzone a ballo di Girolamo Benivieni (1453-1542), fervente seguace del Savonarola, in Patrick Macey (edited by), Savonarolan laude, motets and anthems. Recent researches in the music of the Renaissance (Laudi savonaroliane, mottetti e inni. Recenti ricerche nella musica del Rinascimento). Vol. 116, A-R. Wisconsin, Editions Madison, 1999, pp. xxxvi-xxxviii.

48. Si vedano Il significato della parola tarocco Tarocco sta per matto.

 

Didascalie delle figure

 

1 - Giuseppe Maria Mitelli (1650-1718), Allegoria del folle, incisione, 1678.

2 - Il Matto, acquaforte dipinta a mano, da Minchiata Etruria, 1802-1808.

3 - Insipiens / Stultus, xilografia, iniziale Salmo 52, da Biblia Vulgati Istoriata, sec. XVI.

4 - Bimbo su cavalluccio, in cod. miniato francese, sec. XV.

5 - Lettera D, iniziale del Dixit, Salmo 52, da salterio manoscritto, sec. XV. Amiens.

6 - Antonio di Niccolò (1445-1527), Lettera D, Salmo 52, iniziale del Dixit.

7 - Antonio di Niccolò (1445-1527), Salmo 52, pagina iniziale, c. 1480 -1500.

8 - Lettera D, iniziale del Dixit, Salmo 52, in salterio, ms. 66, fol. 56r., Francia, c. 1205. Nel cartiglio in mano al folle-ebreo la scritta ‘Non est Deus’. Los Angeles: Getty Museum.

9 - Il Matto, dai Tarocchini di Giuseppe Maria Mitelli, Bologna, 1663-1669.

10 - Miniatore di cultura ferrarese, Insipiens, lettera D, iniziale del Dixit, Salmo 52, da Salterio-Innario, fine sesto decennio del sec. XV, cor.18, c. 1. Napoli: Biblioteca Provinciale Francescana.

11 - Miniatore di cultura ferrarese, Salmo 52, pagina iniziale del Dixit, da Salterio-Innario, fine sesto decennio del sec. XV, cor.18, c. 1. Napoli: Biblioteca Provinciale Francescana.

12 - Virgil Solis (1514-1562), Allegoria del Bene e del Male, xilografia.

13 - Antonio Cicognara (pre 1480-post 1500) (?), Il Matto, dai Tarocchi Colleoni-Baglioni, sec. XV. New York: The Pierpont Morgan Library.

14 - Giotto (1267-1337), Stultitia, affresco, primi anni del sec. XIV. Padova: Cappella degli Scrovegni.

15 - Il Matto, dai cosiddetti Tarocchi di Carlo VI, Ferrara-Bologna, sec. XV. Parigi: Bibliothèque Nationale.

16 - Il Matto, in Bibbia miniata, Bologna, sec. XV.

17 - Albrecht Dürer (1471-1528) (?), Il Folle sul gambero, xilografia da Sebastian Brant, Das narrenschiff (La Nave dei Folli), Basilea, 1494.

18 Il Misero, dai cosiddetti Tarocchi del Mantegna. Maestro della Serie E, Ferrara, c. 1460-65. Serie ‘Le condizioni umane’.

19 - Hieronymus Bosch (1453-1516), Il figliol prodigo, c. 1510. Rotterdam: Museum Boijmans Van Beuningen.

20 - Guyard des Moulins (c.1251- c.1297), Folle con cane, iniziale Salmo 52, da Bible Historiale, ms. 19,1314-1315. University of Edinburgh Library Heritage Collections

21 - Folle con cane, iniziale Salmo 52, in Bible Historiale, ms. 5057, fol. 276v. Parigi: Bibliothéque de l’Arsenal.

22 - Israhel van Meckenem (c.1440-1503), Il Folle, incisione, sec. XV. Vienna: Graphische Sammlung Albertina.

23 - Il Folle, sguincio dello stallo, bassorilievo, sec. XV. Najena: Chiesa di Santa Maria la Real.

24 - Mato, dai Tarocchi Sola-Busca, sec. XV. Milano: Galleria di Brera.

25 - Anonimo, Supplizio del fuoco dei Santi Cosma e Damiano, affresco, sec. XVI. Soncino: Chiesa di Santa Maria delle Grazie.

 

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