Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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'Le Palme di Vittoria' - 1655

Matti e matti da Tarocco

 

Andrea Vitali, 26 luglio 2021

 

 

 

Palme di Vittoria

                                                                                         

 

                                                          Xilografia da Le Palme di Vittoria di Giulio Leonardi, 1655 

                                                Santa Vittoria è raffigurata nelle vesti della virtù cardinale della Fortezza

 

Il religioso Giulio Leonardi, fiorito nel sec. XVII e nativo di Acquapendente in quel di Viterbo, fu teologo e oratore famosissimo. Innumerevoli furono le sue prediche quaresimali che lo videro sui pulpiti a Venezia, Roma, Rieti, Tarquinia, Foligno, Perugia, Faenza, Bologna e Ferrara. Lo troviamo ancora in vita nel 1656.

 

Leonardi fu anche letterato: in particolare scrisse drammi sul martirio di sante, fra cui S. Giuliana di Nicomedia (Il virginale candore da rigor domestico. Opera nella quale si rappresenta il martirio di San Giuliana Nicomediense vergine e madre, Firenze, 1641); Santa Barbara (Opera drammatica sopra il martirio di s. Barbara vergine e martire, Viterbo, 1645), e Santa Vittoria, oggetto della presente trattazione, oltre a diversi altri componimenti religiosi.

 

L’opera composta su Santa Vittoria dal titolo Le Palme di Vittoria Verg[ine] e Mart[ire] 1 vide la luce nel 1655 a Viterbo. Con essa l’autore intese raccontare in forma drammatica la vicenda di Vittoria (Roma, 230 d.C.) e della sua amica Anatolia, entrambe patrizie romane, le quali convertitesi alla fede cristiana dopo essersi rifiutate di sposare dei pretendenti patrizi, operarono per diffondere il loro nuovo credo, cosa che ovviamente non poteva essere accettata dai due nobili, il cui intendimento era quello di impossessarsi, con il matrimonio, dei grandi beni dei padri delle fanciulle. Eugenio, promesso sposo di Vittoria, la esiliò pertanto presso la città Sabina di Tremula Maresca dove in seguito venne uccisa e sepolta in una caverna.

 

Una leggenda attribuita a Vittoria la vide scacciare un drago che terrorizzava gli abitanti del villaggio. Domiziano, signore di Trebula, molto preoccupato a causa della pericolosità del drago, si recò dove Vittoria era stata esiliata pregandola di salvare la città dal drago. Vittoria entrò nella  grotta dove l’animale dimorava e lo scacciò. In seguito, ella si rivolse agli abitanti della città dicendo loro di innalzare un oratorio e di darle come socie delle fanciulle vergini. Fu così che divennero sue discepole una sessantina di ragazze a cui Vittoria insegnò inni, salmi e cantici.

 

Dopo tre anni di esilio, Eugenio la denunciò a Giuliano, pontefice del Campidoglio, il quale inviò a Trebula il commissario Talarco (o Taliarco), il quale intimò a Vittoria di baciare una statuetta della Dea Diana che egli aveva portato con sé pena la morte. Al suo rifiuto, Talarco sguainò la spada e l’uccise.

 

Pianta da tutti gli abitanti il villaggio, venne da questi seppellita entro un sarcofago che venne poi deposto all’interno della grotta dove ella aveva scacciato il drago. La data del suo martirio venne riconosciuta nel 18 dicembre del 253 e la sua sepoltura il 23 dello stesso mese. Aveva 23 anni. Santa Vittoria e Santa Anatolia sono effigiate in mosaico presso la Basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna.

 

 

 

Vittoria e Anatololia

 

 

                        Processione delle sante vergini e martiri (Particolare con Santa Vittoria e Santa  Anatolia) 

                             Mosaico, prima metà del VI secolo, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna 

 

 

 

Leonardi nel drammatizzare la vicenda della santa, dopo aver mantenuto i nomi dei protagonisti, aderì alla storia di Vittoria così come era pervenuta, inserendo inoltre alcuni paragrafi dal carattere satirico come il seguente in cui un paggio di nome Vespa parla della pazzia definendola “monarchessa della terra” (la “sublunare, e bassa sfera”) che con la sua falce miete ogni erba dei prati (erba = umanità / prati = mondo), rendendo tutti soggetti al suo volere. Ancor più, essa evidenzia come nel mondo risieda un numero straordinario di pazzi.

 

Dopo aver proseguito con la descrizione di varie tipologie di pazzi, ecco la frase di nostro interesse “Quell’altro sembra il matto de Tarocchi”, attributo da intendersi nella sua accezione negativa come personaggio di nessun valore 2 contrariamente alla sua opinione di essere straordinariamente intelligente, come ci ricorda Sebastian Brant nell’opera Der Narrenschiff (La Nave dei Folli) del 1494, dove al Sonetto LVII ‘Sulla Divina Provvidenza’, così scrive a proposito della presunzione dei folli “Matti è dato persino di trovare, / Che con lo Scritto pretendon d’indorare / Le loro penne, e si credono sapienti” 3.

 

La satira del paggio Vespa si conclude con l’affermazione che sulla terra nascono pazzi a carrettate, forieri di grande pericolosità in quanto capaci di rendere matti numerosi uomini data la loro presunzione di insegnare: “Qui nascono de Pazzi i stuoli intieri / Colà piovano i Matti in abbondanza, / E per parlar nel modo che la sento / un sol Pazzo tal’hor ne suol far cento”

 

 

Matto sul pulpito

  

 

       Hans Holbein il Giovane (1497-1543), Il Folle, dal pulpito, inizia il suo sermone, disegno a penna e inchiostro.

                    In "Praise of Folly" di Erasmo da Rotterdam (Basilea, 1515), Switzerland Kunstmuseum, Basilea 

                La scritta nella parte superiore "Mala audiranno" significa che gli ascoltatori udranno cattive parole. 

 

 

 

ATTO PRIMO

Scena Settima

 

Vespa, paggio

 

Infatti è cosa chiara

Ch’in questa sublunare, e bassa sfera

E tal coppia di matti

Che s’avanti la casa di ciascuno

V’allignasser le Quercie

Senz’altro dir io credo ognun conoschi

Sarebban le Cittadi inculti boschi;

O pazzia, che qual falce

In ogni Prato mieti; E pure è vero

Che sei quell’Ente, ch’è trascendentale,

Che sei la monarchessa della terra,

Ch’al tuo tremendo scettro ognun soggetti,

E fai che miri il mondo

Il numero di Pazzi assai fecondo;

Altri è savio in latino

Ed è matto in volgare;

Altri crede esser saggio

Che pazzo è da catena;

Questi è savio in credenza

Ed è stolto in contanti;

Questi da scaccomatto al suo compagno

Quell’altro sembra il matto de Tarocchi;

Qui nascono de Pazzi i stuoli intieri,

Colà piovano i Matti in abbondanza,

E per parlar nel modo che la sento

un sol Pazzo tal’hor ne suol far cento;

Per tanto temo, e grandemente il temo,

Ch’il matto mio Padrone

(Che tra bravi, e bravissimo poltrone)

Non mi facci alla fin prevaricare,

E qual egli è gran pazzo, anco impazzare;

Ma che veggio? In disparte

Voglio chi sia costei ben osservare 4.

 

Note

 

1. Le Palme di Vittoria Verg[ine] e Mart[ire], Decdicate alla... da Giulio Leonardi d’ Acquapendente, In Perugia, Per gli Eredi di Bartoli, & Angelo Laurenzi, MDCLV [1655].

2. Al riguardo si vedano Il Matto (Il Folle) e Come il Matto de’ Tarocchi del Carducci.

3. Francesco Saba Sardi (a cura), La nave dei folli, Spirali, Milano, 1984, p. 140.

4. Le Palme di Vittoria, cit., pp. 41-42.

 

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