Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

“Or io con due tarocchi (idioti)” - Sec. XVII

Su un sonetto bernesco di Ottavio Messerini

 

Andrea Vitali, dicembre 2020

 

 

Ottavio Masserini nacque il 14 giugno del 1615 nella città toscana di Empoli, secondo genito di Giovan Piero e Maria di Ottavio del Riccio. Cresciuto nello studio delle Belle Lettere, compose sonetti in stile bernesco. Ben presto, resosi conto che l’essere letterato non avrebbe fornito il giusto sostentamento per vivere, scrisse un sonetto all’amico Giovan Batista Fagiuoli 1 dal titolo Il Poeta digiun bada alle stampe nel quale sottolineò come la poesia non dava né da mangiare né da bere. Una verità ricordata da più autori nella storia 2.

 

Il Poeta digiun bada alle stampe

 

Fagiuoli, n' abbiam preso un mestieraccio

     Da campar di sbavigli, e far crocette;
     Poichè le Poesie non son più lette,

     Ed i versi nel mondo han poco spaccio.
Salii per forza anch'io su quel Montaccio,

     E la Musa Talia da ber mi dette;
     Ma pria che ber quell' acque maladette,

     Potea pur per la via rompermi un braccio.
Colsi la steril fronda, e ornai la fronte,

     E questo il frutto fu del mio camino:

     Vidi il Pegaseo, e d’Aganippe il fonte.
Ma se stato fuss’io prima indovino,

     Non rampicavo in su quell'arso Monte,
     Che non fa, viva Dio, nè pan, nè vino.

 

Come risposta, il Fagiuoli così scrisse:

 

Per quanto di Parnaso alla bicocca
     Sul Pegase' i' corressi a rompicollo,

     Per veder s'i potea farmi satollo

     Col votar d'Ippocren tutta la brocca;
E per quanto pigliat' io m' abbia, e tocca

     La bella d’oro cetera d’Apollo,
     E per sonar me la sia posta al collo,

     Ho sempre fatto una sonala sciocca.
Più sciocco riuscii allor che ardito.

     Volli con voce roca, e triviale

     Fra le Muse a cantare essere udito.
Oh ch'io cantai pur scioccamente male!

     Deh guardate, Signor, se men scipito
     Far mi potesse un po' del vostro sale 3.

 

Considerata la sua situazione economica, ritenne necessario dedicarsi agli studi ecclesiastici, cosicché nel 1651 all’età di trentasei anni vestì l’abito pretale. Ottenne una Cappella Corale nella sua Città dovendo tuttavia sborsare una ‘pensione’ di 24 scudi d’oro ogni anno fino al 1656. Un gettito pesante, che gli fece scrivere un sonetto alquanto esilarante le cui prime due quartine così recitavano:

 

Cinquanta scudi, mess’nsieme appena,

     Mandai Giovedì notte al Pensionario,

     Scrivendo ch’era, a Monsignor Vicario

     Restata del granaio vota la scena:

E che fan le mie botti all’altalena,

     Né rimas’era un picciol nell’erario,

     Sicchè per l’avvenire Eolo, e Aquario (1)

     Dovran servirmi a desinare, e cena 4.

 

(1) Eolo, e Aquario = vento e acqua, cioè a dire che si sarebbe cibato solo con quei due elementi.

 

Nella sua casa in via San Giuseppe a Empoli, con immutata passione alternò lo studio e il comporre con la cura del giardino che adornò di fiori e di piante fino alla sua morte avvenuta nel 1704 in età di ottantotto anni. Una decina di anni prima della sua dipartita, quando gli venne chiesto quanti anni avesse e come li avesse impiegati, egli rispose:

 

Oimè che si avvicinano gli ottanta,

Numero, che a sentirlo ti spaventa,

Aggiugni di cantar più di quaranta,

Sopraggiugni di stenti più di trenta 5.

 

Fu il Nostro uno dei principali esponenti dell’Accademia delle Cene della sua città, nonché poeta graditissimo al Gran Principe Ferdinando de’ Medici il quale ogni anno, in occasione di suoi viaggi, nel passare da Empoli, stazione di Posta, andava a trovarlo chiedendogli di comporre in maniera estemporanea un sonetto su un tema che egli stesso gli assegnava. Da tutto ciò possiamo dedurre che il Masserini fu un personaggio assai stimato e considerato ai suoi tempi.

 

Il nostro interesse verso questo autore è motivato da un verso presente in un lungo sonetto, scritto in occasione della richiesta da parte di un amico di essere ragguagliato su un viaggio intrapreso dal Messerini in quel di Lucca. Il sonetto viene definito dall’autore al pari di una filastrocca negli ultimi due versi quando, rivolgendosi all’amico, si dichiara pronto a descrivergli, se richiesta, la sua permanenza in quella città e il suo viaggio di ritorno: “Se ‘l mio starvi, o ‘l ritorno a dir mi tocca, / Son pronto a farne un’altra filastrocca”.

 

In effetti l’intero sonetto, per il suo essere stato composto in stile bernesco 6, si presenta come una specie di filastrocca a rima baciata. Di seguito si riportano alcuni versi, dal primo al ventitreesimo:  

 

In somma voi mi dite, che a me tocca

     Farvi sentire il mio viaggio a Lucca,
     Sapete pur, ch'io ho poco sale in zucca,

     Che però la minestra (1) sarà sciocca;
Contuttocið se la girella scocca,

     Non ho che dir s'ella piace, o la stucca (2);
     Che poi in quel fondo i’ farò come Giucca (3),
     E dirò quel, che mi viene alla bocca

Era nella stagion, che i fichi secca,

     E dalle piante ogni frutto si stacca (4),

     L'anno della rovina della Mecca (5),
Quando per irne (6) a Lucca un mi rabbracca (7),

     E tal, ch'ella mi fu nuova di zecca (8);
     Andiam pur, dissi, e Becco (9) a chi si stracca (10).

              Non dare’ (11) una patacca (12)
Di quanti ci è cavai, lettighe, e cocchi,
Che chi va a piè, non teme di trabocchi.

             Or io con due tarocchi (13),
Uno è un di quei dalle Fornace, Checco,
L'altro è Geppe figliuol di Piero Cecco.

              Sono un figliuol di un becco,
Se non dite ancor voi: questa è una cricca (14)
Bella, bizzarra, virtuosa, e ricca 7.

 

(1) minestra = quì a significare l'intero sonetto

(2) stucca = annoia

(3) Giucca = termine toscano per Giufà, personificazione dello sciocco 

(4)  ... che i fichi secca, / ...ogni fruito si stacca = L'Autunno

(5)  L'anno della rovina della Mecca = il 1625, ma l'intero verso potrebbe essere una finzione letteraria, dato che in quell'anno l'autore aveva 14 anni.

(6) per irne = stavo per andare

(7) mi rabbracca = mi prende di mira, mi coinvolge

(8) nuova di zecca = una situazione mai capitatami prima

(9) becco = cornuto

(10) stracca = stanca

(11) dare' = darei

(12) patacca = moneta falsa

(13) tarocchi = idioti

(14) cricca = combriccola

 

La chiara indicazione dell’intendere compositivo dell’autore viene evidenziata fin dall’inizio con i versi “Che però la minestra sarà sciocca”.

 

Come abbiamo scritto in diversi nostri saggi, con il termine ‘tarocco’ veniva indicata – e gli esempi letterari da noi individuati sono molti 8 - una persona tarda di mente, un balordo 9, uno sciocco, uno stupido, tanto che la parola Tarocco, attribuita a quel gioco, stava a significare il gioco del Matto.

 

Il sonetto manifesta in ogni suo verso un atteggiamento ironico e grottesco con cui l’autore beffeggia sé stesso (Sapete pur, ch'io ho poco sale in zucca) e gli altri, attribuendo ai compagni di viaggio e alle più diverse situazioni aggettivi rivelatori di uno stato generale di pazzia.

 

Se si prendono in considerazione i versi “Or io con due tarocchi, / Uno è un di quei dalle Fornace, Checco, / L'altro è Geppe figliuol di Piero Cecco.” notiamo innanzitutto che l’autore definisce tarocchi, cioè degli stupidi, i due personaggi che l’accompagnano. Il termine spregiativo viene amplificato dai nomi Checco e Cecco, utilizzati a volte nella letteratura burlesca a indicare altrettanti stupidi personaggi. Più avanti nel testo, l’autore si rivolgerà a Geppe chiamandolo “il mio sciocco” e ancora utilizzerà il termine “baciocchi” che in toscano significa appunto “sciocchi” e che riferirà sia a sé stesso che ai suoi due compagni di viaggio. Oltre a ciò, con il ricorso alla girella, strumento presente nelle mani del Matto nell’omonima carta dei Trionfi 9, l’autore manifesta in maniera evidente la volontà di instaurare un rapporto ben preciso fra l’instabilità del proprio cervello con quello di un pazzo.

 

Per l’intero sonetto, il Masserini usa continuamente la parola ‘Becco’ il cui significato nella Toscana del tempo ma anche in quella odierna significa cornuto, termine che sottende uno stato di sciocchezza da attribuirsi a quei personaggi ignari di quanto sta accadendo loro intorno.  

 

Per raccontare le più svariate situazioni all’interno di un contesto generale di pazzia, l’autore ricorre a Giucca, termine toscano per Giufà, personificazione dello sciocco le cui avventure o scempiaggini costituiscono un ciclo di racconti, spesso collegati, che fanno diventare la ‘Storia di Giufà’ sinonimo di un racconto interminabile, in cui le verità più banali vengono espresse in forma sentenziosa, come i versi “Sono un figliuol di un becco, / Se non dite ancor voi: questa è una cricca / Bella, bizzarra, virtuosa, e ricca” ben estrinsecano.

 

Più avanti, l’autore ricorrerà ancora una volta al termine tarocco, ma in questa occasione dal significato di imprecare, inveire 10: “Diss’io, gli è tocco a me l’essere il tocco, / Lor la mettono in burla, e io tarocco” (Io dissi che era toccato a me essere il pazzo, / Loro si burlano di me ridendo alle mie spalle e io impreco).

 

Il sonetto si presenta pertanto come un ulteriore testimonianza del significato della parola tarocco come matto, sciocco, stupido, idiota 11.

 

Note

 

1. Di Giovan Batista Fagiuoli abbiamo scritto ai saggi I Tarocchi in Letteratura I Gente che Tarocca.

2. La celebre frase latina Carmina non dant panem la cui traduzione è “le poesie non danno pane”, evidenzia la difficoltà per ogni intellettuale o artista di trovare un lavoro adeguatamente pagato. Esempi di espressioni consimili:

Amor ingenii neminem umquam divitem fecit (L'amore dell'ingegno non ha mai fatto ricco nessuno), Petronio, Satyricon, 83,9.

Homo doctus in se semper divitias habet (L'uomo dotto ha sempre le ricchezze in sé stesso) Fedro, Fabulae, Libro IV, fabula 23,1.

Povera e nuda vai, Filosofia / dice la turba al vil guadagno intesa, Petrarca, Canzoniere, Sonetto VII.

Apollo, tua mercé, tua mercé, santo / collegio de le Muse, io non possiedo / tanto per voi, ch'io possa farmi un manto, Ariosto, Satira I, 88-90.

3. Le Veglie Piacevoli ovvero Notizie de’ più Bizzarri e Stravaganti Uomini Toscani. Le quali possono servire di utile trattenimento, Scritte da Domenico M. Manni, Accademico Etrusco, Tomo V, Edizione Prima, In Firenze, Per Gaetano Cambiagi Stamperia Granducale, L’Anno MDCCLXXIV [1774], pp. 76-77.

4. Ibidem, p. 78.

5. Ibidem, p. 85.

6. Bernesco è agg. derivato da Francesco Berni. Si veda I Tarocchi in Letteratura I.

7. Le Veglie Piacevoli, cit., pp. 80-81.

8. Si veda Tarocco sta per Matto.

9. Si veda Il significato di Tarocco in Andrea Moniglia - 1660.

10. Sul significato di ‘Taroccare’ si veda Dell’etimo tarocco.

11. Per la descrizione dei molteplici etimi inerenti alla pazzia si veda Il significato della parola Tarocco.

 

 

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