Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Rochi e Tarochi

Una suggestiva ipotesi riguardante l'etimo della parola "Tarocco"

 

Andrea Vitali, aprile 2011



Una ulteriore ipotesi riguardante il termine Tarocco da noi assodato nel suo significato primario di folle, tarato, balordo 1, è che possa anche essere collegato per gli aspetti polisemici che certi lemmi possedevano in antico, a un'espressione popolare riferita alle torri, intese sia quali strutture-fortezze che a quella degli scacchi. In effetti, fra scacchi e tarocchi esistono similitudini non dovute esclusivamente alla presenza delle figure comuni quali il Re, la Regina, il Cavallo, il Fante e la stessa Torre: se da un lato furono entrambi considerati giochi dal carattere ingegnoso, non di meno venne sottolineato il loro contenuto educativo. Mentre sappiamo che l'ordine dei tarocchi rifletteva in qualche modo la Scala Mistica, quello degli scacchi ben rappresentava le diverse classi della società 2, così come descritte dal domenicano Jacobus de Cessolis (1250-1322) nell'opera Liber de moribus hominum et officiis nobilium super ludo scacchorum (c. 1300), per il quale nel “sollazzevole giuoco degli Scacchi si contiene ammaestramento de' costumi e di battaglia dell'umana generazione” 3.

  
L'opera del Cessolis si basa sulla rappresentazione figurata dei pezzi principali facendo riferimento alle vere e proprie persone che rivestivano la medesima carica nella vita del tempo, Rex (Re), Regina (Regina), Arfiles o Arphiles (Alfieri, giudici del Re e della Regina) 4Milites (cavalieri del Re e della Regina) e Rochi (Torri, vicari del Re e della Regina), mentre i Populares (pedine) sono abbinati a una o più specifiche categorie di lavoratori:

 

agricola (contadino), 

faber (artigiano, fabbro), 

notarius (segretario), 

lanificus (lavoratore della lana), 

carnifex (carnefice, boia), 

scriptor (scrivano),

mercator (mercante), 

medicus (medico), 

tabernarius (oste), 

tabularius (notaio, cassiere, ragioniere), 

hospes (albergatore)

custor civitatis (ufficiale della città), 

ribaldus (ribaldo),

 cursor (messaggero), l

usor (giocatore).

 

La scacchiera rappresenta la città stessa, che è quella di Babilonia, in cui il domenicano reputava fosse stato inventato il gioco. Questa attribuzione permette all'autore di spiegare quali fossero i compiti di ciascuno nella struttura sociale e i modi onorevoli di comportamento che ogni singolo individuo doveva adottare 5




                           Scacchiera

                                  La città di Babilonia con la disposizione dei vari personaggi secondo Jacopo de Cessolis 


Il lavoro del Cessolis fu fonte di ispirazione per altre opere sul tema, come quella di Meister Ingold che nella sua Guldin Spil  del 1432, sullo sfondo di un’inquietudine escatologica,  fornisce il seguente schema, riflesso di una gerarchia spirituale:

Re
 = Gesù Cristo
Regina = Maria
Alfieri = patriarchi e profeti
Cavalieri = martiri
Torri = dodici apostoli
Pedoni = uomini della terra

Con queste parole Ingold termina il suo lavoro: “Il tavoliere è il Tempo, con scacchi bianchi per la luce del giorno e neri per la notte. Quando il tempo è spazzato dalla morte, il gioco è alla fine, e nessuno è avvantaggiato. Nessuno è Re, o Cavaliere o Giudice o Signore: tutti sono uguali nella borsa della Terra”.


Continuando la disamina sugli scacchi, occorre ricordare che la scacchiera stessa per la sua forma quadrata venne intesa fin dalla sua creazione quale simbolo della terra al cui interno si svolgeva una grande battaglia fra il bene e il male e dove il gioco aveva la funzione di insegnare i valori della saggezza, della temperanza e dell’avvedutezza.

 

“L’inclinazione per il simbolismo, la cifra, l’allegoria trova uno sbocco naturale nelle forme del gioco. Ogni aspetto è occasione per istituire un parallelo con l’organizzazione della vita umana, tutto viene ricondotto ai costumi e alle credenze del tempo. Il medioevo scorge dietro ogni forma l’astuzia e le trappole del maligno: così se i punti dei dadi sono emblemi della cristianità – uno = Dio, due = cielo e terra, tre = Trinità e così via – il tutto è invece un’astuta invenzione di Satana per attirare con i simboli della religione il credente verso il gioco d’azzardo e quindi la perdizione. La moralistica religiosa fa ovviamente la parte del leone e usa i pezzi e il loro scenario per ammonire ed educare all’etica cristiana. Esempi comuni si ripetono fin dalle prime interpretazioni. Tra le più antiche vi è un manoscritto attribuito a Papa Innocenzo III, ma più probabilmente da ascrivere a un autore inglese del XIII secolo, indicato con il titolo di Quaedam moralitas de scaccario. Vi troviamo alcuni temi che avranno lunga vita letteraria, dalle opere di morale a quelle del Cervantes. Innanzitutto, è istituita un’analogia tra il mondo e la scacchiera, i cui colori, bianco e nero, mostrano le due condizioni della vita e della morte, della lode e del biasimo conseguenti alla preghiera o al peccato. Altro tema di grande fortuna è, ovviamente, quello della vanità delle cose terrene. Come gli uomini, i pezzi della scacchiera hanno diversi valori, onori e fortuna, ma il ritorno alla loro comune origine appiana ogni differenza e, spesso, nella borsa che li raccoglie al termine della partita il re giace sotto tutti gli altri” 6.

 

Non a caso nella Chiesa di San Savino, a Piacenza, il mosaico pavimentale del sec. XII raffigura, accanto a una grande Ruota della Fortuna, due uomini intenti a giocare a scacchi. Un insegnamento sulla Vanitas ben espresso dal Ludus Triumphorum la cui finalità educativa consisteva nel far comprendere all’uomo i valori dell’etica cristiana e i modi per condurre una vita all’insegna della virtù 7. Un percorso che implicava un dualistico contrasto fra spirito e materia, fra attività e passività, fra ragione e irrazionalità.


 

                                                             Scacchi San Savino

                                                                                      Giocatori di scacchi
                                   Mosaico pavimentale, sec. XII. Cripta, Chiesa di San Savino, Piacenza 


                                      Ruota Fortuna San Savino

                                                                                             Ruota della Fortuna
                                         Mosaico pavimentale, sec. XII. Cripta, Chiesa di San Savino, Piacenza 


                                          Ruota e scacchi San Savino   

                                                          Ruota della Fortuna, Gioco degli Scacchi, Re con Giudice (1)
                                              Mosaico pavimentale, sec. XII. Cripta, Chiesa di San Savino, Piacenza 

(1) Nella fascia sul lato destro sopra i giocatori di scacchi, un Re (con la scritta REX) è seduto su un trono  accompagnato da un giudice (IUDEX) che addita un libro aperto ove compare la scritta LEX.

Molti stemmi araldici raffigurano torri e scacchiere intendendo esprimere forza, costanza e indole battagliera all’interno di un contrasto di cui è sentita la necessità di superarne l’opposizione.



                                                                               Stemma Araldico Cairo

                                                            Stemma Araldico della città di Cairo Montenotte (Sv)

 

Tralasciando i contenuti filosofici che sottendono al gioco per ritornare al puro aspetto ludico, negli scacchi l'avversario è chiamato ‘il contrario’ e talvolta ‘il nemico’ 8. Anche il gioco dei tarocchi, come quello degli scacchi, è una battaglia, fatta con carte, dove occorre vincere sugli avversari.


Si valuti che torri (o rocche) nel Medioevo erano molto comuni, costruzioni che l’uomo di quel tempo aveva costantemente sotto gli occhi, emblemi del potere delle grandi casate verso il quale il popolo provava un marcato senso di invidia. Considerate simboli di elevazione e potenza, la loro conquista era vissuta dall'immaginario collettivo come una grande manifestazione di forza. Per questo motivo una torre colpita da un fuoco venne inserita sia nei tarocchi a rappresentare la Sphaera Ignis, cerchio di fuoco creduto sovrastare la terra attraverso il quale la divinità esprimeva la sua grande potenza di distruzione 9, sia negli scacchi, in quanto espressione di una fortezza da conquistare. Il Cessolis, che chiama la Torre con il termine Roccus 10 e al plurale Rochi, identifica questo elemento degli scacchi con i Vicari ovvero i legati del Re (vicarii seu legati regis) 11. Dopo duecento anni dal Cessolis, il termine Rochi (con variante Rocchi) sarà ancora in uso. Il Citolini nella sua Tipocosmia del 1561 così scrive a proposito degli scacchi: "...il giuoco de’ scacchi è assai gentile, se non fosse del tempo così gran rubbatore. hor qui vedrete lo scacchiere, co i quadri suoi, gli scacchi, il Re, la Reina, gli arfili, i cavalli, i rocchi, le pedine; è così il giucare a scacchi, dare scacco, scacco matto, far tavola, far giuochi di partito, dar de’ l tavoliere in su’l capo a’l compagno" 12. Stessa descrizione nella Piazza Universale del Garzoni (Venezia, 1555), al Discorso LXIX "De giocatori in universale & in particolare", laddove, trattando di quel gioco, così si esprime l'autore: " ...e all'ultimo à scacchi, adoprando il Rè, la Reina, gli Arfili, i Rocchi, i Cavalli, le Pedine, con tanti giuochi da partiti, con tanti scacchi matti su quel tavoliero, che all'ultimo si adopera qualche volta da dare sul capo al suo compagno, mentre si giuoca". Finale tipico di un gioco da taverna.


Una mossa difensiva strategica che coinvolge Re e Torre è l'Arrocco, termine derivato dal verbo transitivo arroccare (procedere a un arrocco) e in forma estesa a significare ‘mettere al riparo’ 13. Nel Codice Corsiniano, laddove si descrive la figura del Re, l'arrocco viene così spiegato: "Il primo pezzo, chiamato Re perche à guisa che il Re sovrasta al Popolo così questo pezzo à tutti li altri è superiore; il Re dunque nel più guardato luogo hà la sua casa nel mezzo del Tavoliere, il suo moto dà una casa a un altra sola, mà così per dritta, come per traverso per mostrare la gravità che i Re tengono potendo anco per una volta tanto saltare tre, ò quattro case secondo la usanza del paese significandosi per questo salto, che sentendosi cominciata la battaglia, il Re si ritira in qualche parte dove non possa essere così offeso, mettendosi le guardie appresso di lui per sicurezza sua et gli altri pezzi e fanti che sono le pedine se indrizzano contro l'essercito del nemico a combattere per ottenere la sperata vittoria" 14. Le regole di questa mossa non nacquero con l'invenzione del gioco, ma vennero a codificarsi col tempo, come scrive in un suo breve trattato Fernando Beretta, storico del gioco degli scacchi 15.


Di grande importanza riguardo l’origine e lo sviluppo di questa mossa è una disamina di Diego D’Elia, a nostro avviso fra le massime autorità dell’argomento, gentilmente fornitaci e che qui riportiamo:

 

“Le origini più remote di questo movimento combinato di Re e Torre (rocco, secondo la dizione tipica medievale) sono rintracciabili, concettualmente, nel cod. El Escorial, Biblioteca del Monasteiro del El Escorial, T.I.6 (sec. XIII) nonché nel Liber de Moribus ...di Jacopo da Cessole, databile nella seconda metà del XIII secolo: in questi due testi si parla del salto del re, secondo diverse modalità, movimento primitivo dal quale, con ogni probabilità, è derivato l’arrocco propriamente detto. La prima menzione esplicita a me nota dell’arrocco compare nel Lucena, Repetición de Amores y arte de axedrez con CL juegos de partidos, Salamanca, Leonardus Hutz e Lupus Sanz, [1497], al f. 38r. Dato che Lucena recepisce e trade quanto da lui notato nel gioco vivo in Spagna e, asseritamente, in Italia ed in Francia, si può indicare il periodo storico di interesse nel XV secolo. Fermo restando questo dato, al momento individuabile come terminus post quem per una datazione – per quanto la prudenza, in questi casi, sia sempre d’obbligo – per questa mossa, si consideri però che Giovanni Boccaccio, nel Filocolo, scrisse, in merito a una delle partite a scacchi in quel testo menzionate, di un “salto del suo rocco”, anche se il movimento che Boccaccio – con ogni probabilità – intendeva era quello del Re, e non un arrocco come lo intendiamo oggi (in merito, cfr. Adriano Chicco, L’Aiutomatto di Messer Boccaccio, in «Scacco!», VII (1977), pp. 177-178) ma rimane di interesse, a mio vedere, la terminologia utilizzata, che non credo casuale, segno, cioè, di una tendenza all’evoluzione di questo tratto. Ancora, si veda l’interessante articolo di Adriano Chicco, Il rebus di Leonardo da Vinci, in «Scacco!», IX (1978), pp. 57-58, dove appunto il genio vinciano utilizzò il verbo “arroccare” per un rebus di sua invenzione, luogo definito da Chicco straordinaria anticipazione lessicale. Non sappiamo, al momento, né se Leonardo abbia mai giocato a scacchi, né se fosse in uso, almeno nei luoghi dove egli visse, la mossa dell’arrocco, né, infine, se egli stesso abbia avuto un ruolo nell’evoluzione di questa mossa (anche se Leonardo con ogni probabilità ebbe in effetti conoscenza di questo gioco) ma rimane emblematico l’uso di questo lemma in quel periodo storico. Per completezza, infine, rammento che l’arrocco, che ebbe nel corso della sua storia diversi metodi di esecuzione, verrà menzionato nei testi ormai “tecnici” sul gioco degli scacchi, tra i quali ricordo i trattati di Ruy Lopez, di Pietro Carrera, ecc., fino alla statuizione, quasi epigrafica, che ne fece – ma ormai siamo nella seconda metà del XVIII secolo – Domenico Ponziani, ne Il giuoco incomparabile degli scacchi, Modena, Eredi di Bartolomeo Soliani Stampatori Ducali, 1769, pp. 8-9”.

 

Da quanto scrive D’Elia, poiché la mossa dell’arrocco nasce a grandi linee nel momento storico in cui il gioco dei tarocchi si sviluppa e si connota, appare più che probabile che fra i due giochi esistesse uno stretto legame.


La mossa dell'arrocco nel 1507 è già ben codificata. La descrive il vescovo e scrittore Marco Gerolamo Vida (1480-1566) nel suo poemetto in lingua latina Scacchia Ludus 16, conosciuta come Scaccheide nella trasposizione in versi italiani 17, laddove parlando del Re ne indica movimenti e prerogative: 


Non illi studium feriendi, aut arma ciendi,
Se tegere est satis, atque; instantia fata cavere;
Haud tamen obtulerit se quisquam impunè propinquum
Obvius, ex omni nam summum parte nocendi
Jus habet ille quidem, haud procurrere longius ausit:

At semel ominibus latis discedere ab Aula

Saltans nempè potest, alianque; capesse sedem

Ordinis ipse sui; mox huic non amplius uno

Ut dixi, fas ire gradu, seu vulneret hostem,
Seu vim tela ferant nullam, atque: innoxius erret 18.


Li Re non han di offendere desio,
Contenti sol che dagli ostili attacchi
Possan sfuggire, e in sicurtà riporsi:
Nessun però della nemica schiera
Appressarsi osi a lor, che il sommo dritto
Hanno essi di ferir da ciascun lato.
Nè avvanzar più d' un passo ad ogni mossa
A loro lice, tranne il caso in cui
Voglian mutar con un degli Elefanti
La propria sede, mentre allor trascorre
Il Re tanto di spazio in un sol moto
Quanto ve n'ha tra l'Elefante, e lui.
Ma questo cambio è sol permesso quando
Nessun di lor mosso si sia dal luogo
Che ha preso al primo mettersi in battaglia.
Nè frammezzo s'incontri altro Guerriero,
Che il libero passaggio all' Elefante
Tolga, ed al Re, né questi già si trovi
Ai colpi esposto dei Nemici, o giunga
Ad offender col cambio alcun di loro.


Il Vida, che considera gli scacchi una "Fiera imagin di guerre, e finte pugna / Somigliante alle vere" (Ludimus effigiem belli, simulataque veris Praelia) ricorda il "salto del Re" anche in un’altra strofa:  


Tum cautus fuscæ regnator gentis ab Aula
Subduxit media se, se penitusque repostis
Castrorum latebris extrema in fauce recondit,
Et peditum cuneis stipantibus abditus hæsit 19.

                                             Allor prudente
Della fosca Legione il Regnatore (1) 
Abbandonò della sua schiera il mezzo,
E chiamando al suo posto l'Elefante (2) 
Nelle latebre più remote ascoso
Si tenne del suo campo, e intorno intorno
Si fè di combattenti ampia corona.

(1) Regnatore = Re
(2)  Elefante =
Torre. 

 

Il Vida descrive questi versi nella sua versione di derivazione indiana, una tipologia ancora oggi riscontrabile in diverse produzioni di scacchi: un elefante con una torre posta sul dorso: "Nec deest quae ferat armatas in praelia turres / Bellua. Utrinque Indos credas spectare Elephantes" (Gli indiani Elefanti, che sul dorso / portano Torri gravide di armati). In altro passo lo descrive nel modo seguente:


Tum geminæ velut extremis in cornibus arces
Hinc, atque; hinc altis stant propugnacula muris,
Quas dorso immanes gestant in bella Elephanti 20.

                      

                           Pari a due forti
Ben murate castella gli Elefanti
Serrano i lati delle due falangi
Colle alte torri che sul loro immane
Tergo stan ritte.

 
Per il Vida il pezzo della Torre è uno dei più importanti e necessari. Nella spiegazione in versi delle mosse di tutti i pezzi degli scacchi così scrive della Torre: 

Ast aciem claudentes hinc, atque inde Elephanti,
Cum turres in bella gerunt, ac prælia miscent,
Et dextra, lævaque; valent. Et ante, retroque
Recta fronte gradi, campumque impune per omnem
Proruere, ac hostem quoq; sic prosternere letho;

Oblique tamen haud ipsis, procurrere fas est 21.

 

Ma gli Elefanti che chiudon nel mezzo
L’intiero campo, allor che le lor Torri
Portano in guerra, e mischiansi in battaglia
Innanzi, indietro, a destra, ed a sinistra
Girano in retta linea, e di funesta
Morte coprono il campo.


La malaugurata perdita di questo pezzo comporta un danno immenso, come rivela in questo passo:

At niger emicat ense
Stricto eques, et magnis Elephantem intercipit ausis,
Damnum ingens, neque; enim est sævæ post virginis arma
Bellantum numero ex omni magis utilis alter 22.

 
Allor scagliossi il Bruno Cavaliero
Col nudo acciar sul misero Elefante  
Che privo di soccorsi, e di difesa 
Uopo è che lasci il campo, e vinto ceda. 
Il danno è immenso della sua caduta, 
Poichè dopo la Vergine, guerriera (1) 
Combattente più utile non avvi.


(1) Vergine =
Regina

 

Rocchi, assieme agli altri pezzi degli scacchi, non furono immuni dall’essere utilizzati in versi anche in componimenti amorosi, come troviamo in Scachier è diventato lo mio core e Tu giochi a scacco Amore, due villanelle del sec. XVI dove la tavola degli scacchi diviene il campo della battaglia amorosa fra l'amante e l'amata 23.  


Tutte le classi sociali giocavano a scacchi, ma alla nostra disamina interessano i giocatori del basso popolo, coloro che giocavano nelle taverne. Se si considera infatti che nelle osterie gli scacchi era compagni assieme ai dadi del gioco dei tarocchi, non è improbabile che a un certo punto verso la fine del sec. XV i giocatori di carte, nel nominare quel gioco, si avvalessero di un'espressione di attacco contro gli avversari presa a prestito dal modo di dire utilizzato nei riguardi dei Rochi degli scacchi oppure, più in generale, dall'assalto militare alle torri, simboli di quel potere che il popolo avrebbe voluto volentieri abbattere. Un attacco con carte di presa teso a sopraffare il rivale, come se con quella mossa l'avversario dovesse arroccarsi, cioè mettersi sulla difensiva. Infatti, le torri erano l’ultimo baluardo dove i Signori si rifugiavano per fuggire dai grandi pericoli. Moltissime rocche erano posizionate sulla cima di monti (torri arroccate) non solo per motivi di avvistamento, ma per essere al riparo da facili conquiste. In lingua italiana ‘ti arrocchi’ è espressione che si rivolge infatti a persona che ha assunto una posizione di difesa non intendendo recedere dalle proprie convinzioni. Nella letteratura scacchistica i consigli di arroccare sono espressi con ‘s'arrochi’ o ‘s'arrocchi 24. Per ora, in attesa di auspicati risultati derivanti da nostre ricerche 25, possiamo solo azzardare alcune di queste espressioni come ad esempio "t'arocco, t'arocho, ti arocco, ti arocho, ti do rocco, ti rocco, ti rocho" 26 a voler significare "constringo ad arroccarti" oppure "ti conquisto, ti assalto".

 
Ad articolo già inserito, giunge ad avvalorare la nostra tesi una comunicazione del prof. Giuseppe Crimi, ricercatore di Letteratura Italiana alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Roma Tre, il quale ci informa che in un sonetto dell'Orcagna indirizzato a Niccolò degli Albizi dal titolo Vorrei che nella camera del Frate, al verso 17 si trova l'espressione "ti do rocco", una di quelle da noi sopra indicate. 

CLXVII 

     Vorrei che nella camera del Frate
fussimo un dì colle coltella in mano;
se non  griderrò tanto a Nepozano,
che le porte d’Arezzo sien serrate;
     Quanti dì, quante notti son passate
pure aspettando, ed io aspetto invano,
hommi arrecato pur la penna in mano
scrivendo a te quarantaduo cartate.
     Di quei Pisan, che paghâr la gabella
quando gli entroron dentro a quella chiusa,
non ti si fa per or cotal novella.
     Ma fa che tu di ciò, non sia medusa,
anzi fa che si meni la mascella
nel modo proprio, qual costassù s’usa:
     Ser Bernardo che chiosa,
chi in questa scritta fia Nicola sciocco
a cui l’Orgagna dice: «ti do rocco» 27.

 

Si tratta quindi di un'espressione popolare che si sarebbe diffusa anche fra i giocatori di carte andando a sostituire il termine quattrocentesco Ludus Triumphorum con quello Ludus Tharocorum con varianti Tarroco, Tarocho Taroch, termini  del gioco così come troviamo nei documenti rinascimentali. Dopo quasi un’ottantina di anni dalla creazione del Ludus Triumphorum, i cui contenuti di carattere etico e mistico erano conosciuti dalle sole persone di cultura, appare più che naturale che quel gioco assai frequentato nelle osterie 28 assumesse un nome attribuitogli dai suoi giocatori, scelto fra i modi di dire del basso popolo che giocava nelle taverne. Resta comunque come significato principale quello di  ‘balordo, idiota, stupido, ecc’ come attestato da numerosi letterati del tempo 29. Che a questi non fosse venuto in mente da attribuirgli anche l'espressione tolta dal gioco degli scacchi non deve stupire, dato che assai raramente essi prenotavano un tavolo da gioco nelle taverne più popolari 30. Come precedentemente espresso, potrebbe valutarsi quale termine con caratteristiche polisemiche.

 

 Note


1. Al riguardo si veda Tarocco sta per Matto.

2. In un mazzo di carte francesi dipinto per Carlo VI dal pittore Jacquemin (alcuni affermano per rallegrare il Principe dalla sua malinconia), si trova personificata la struttura della società del tempo: vi erano infatti il Re e la Regina, Cavalieri e Valletti a rappresentare la Nobiltà; gente di chiesa nelle carte dei semi di Cuore, in quelle di Picche i militari; nei Fiori gli agricoltori e nei Quadri gli artigiani. 
3. Volgarizzamento del Libro de' Costumi e degli Uffizi de' Nobili sopra il Giuoco degli Scacchi di Jacobus de Cessolis. Tratto nuovamente da un Codice Magliabechiano, Milano, 1829, Prologo, p. 1.

4. Nel Codice Vat. Lat. 1042 gli Alfieri sono chiamati Arphyles; nel Pal. Lat. 961 Alphinos; nel Cod. Vat. Lat. 1960 Assessores con variante ascessores (Iuxta regem et reginam situantur arphili, quasi assessores et iudices). Cfr. Diego D'Elia, 

Il Codice Vaticano Boncompagni N.3. Il più complesso e importante Codice Scacchistico della Biblioteca Apostolica vaticana, Trieste, Edizioni Quasar, 2000, p. 21.  
5. Per un’ampia disamina di questi aspetti si veda Diego D’Elia, cit., Capitolo. Quarto.

6. Roberto Carretta, Lo scenario conquistato. Gli scacchi e l’origine del loro simbolismo, Torino, Il Leone Verde, 2001, pp. 48-49.
7. Si veda il paragrafo ‘L’Armonia Celeste’ in La Storia dei Tarocchi,

8. Cfr. Diego D'Elia, cit., p.21.
9. Si legga il saggio iconologico La Torre. Non è da escludere che nel primo ordine dei Trionfi la carta della Forza fosse vicina a quella della Torre.
10. 
In lingua italiana ha il significato di pietra, roccia, sasso più o meno appuntiti: "E proseguendo la solinga via / Tra le schegge, e tra rocchi dello scoglio, / Lo piè senza la man non si spedìa". Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, vv. 16-19.  
11. Così nel Codice Vaticano N. 3, cit. Lo scritto del frate ha qui il titolo Tractatus de Ludo Scacchorum Auctore F. Jacobo de Cesolis Ordinis Praedicatorum. Nel Volgarizzamento del Libro il termine è Rocchi "Della forma de' Rocchi, ciò sono vicarii del Re", Capitolo Quinto, p. 48.  
12. Alessandro Citolini, Tipocosmia, Venezia, 1561, p. 484. L'espressione "gran rubbatore" di tempo qui attribuito al gioco, si confà con il nome di Ludus Latruncolorum dato agli scacchi in epoca romana, sopravvissuta in alcuni trattati sul gioco fino a tutto il rinascimento.
13. Voce arroccare in G. Devoto - G. C. Oli, Dizionario della Lingua Italiana, 1990. L'arrocco odierno consiste in un movimento combinato di Re e Torre soggetto alle seguenti regole: il Re viene spostato di due case rispetto al suo posto d'origine per collocarvi al suo fianco la Torre, dal lato opposto rispetto alla propria casa d'origine. L'arrocco può essere eseguito una volta sola. Per arroccare è necessario che i due pezzi non siano mai stati mossi precedentemente, che le case che il Re e la Torre attraversano nel loro movimento siano libere e che né il Re né le due case che il Re attraversa e quella dove si va a collocare non siano sotto offesa avversaria. Informazioni sull'arrocco sono riportate nei maggiori trattati rinascimentali, come ad esempio in quelli di Gioacchino Greco dove, accanto ad arrocchi particolari, troviamo anche quelli eseguiti secondo le regole attuali. Cfr. Diego D'Elia, cit., pp. 277-288. 
14. Codice Corsiniano 36 E 21, ff. 6v-7r. Il manoscritto risalente al 1620, copia amanuense di un trattato di Gioacchino Greco, si trova presso la Biblioteca dell'Accademia dei Lincei a Roma. Il trattato originale del Greco è in possesso della Biblioteca Minutoli-Tegrimi (Codice n. 4) a Vorno in provincia di Lucca.  
15. "L'arrocco non è una regola antica. È evidente che questo moderno e complesso movimento di pezzi non è nato in un giorno, è stato sviluppato gradualmente di secolo in secolo, con l'evoluzione delle regole del gioco. Nell’indiano Chaturanga (quello che si ritiene essere il precursore degli scacchi) non vengono trovate tracce di questo movimento, né se ne riscontrano nell’arabo Shatranj. I primi movimenti insoliti o eccezionali effettuati dal Re, da cui l'arrocco è evoluto, sono stati trovati in Europa negli scacchi medievali, originatisi come modifica dello Shatranj, per dare una maggiore mobilità ai pezzi. Una fonte attendibile sull’evoluzione storica di queste prime mosse è il lavoro del monaco lombardo Jacobus Cessolis, dove vi erano descritte le norme che disciplinano i movimenti dei singoli pezzi. In questo libro si afferma che il re, la regina e i pedoni hanno il diritto di fare un primo movimento di due caselle in aggiunta al normale. Di queste primitive modifiche, il doppio passo di apertura del Pedone è sopravvissuto fino ai nostri giorni; nel caso della Regina è diventata obsoleta quando fu dato il suo attuale movimento durante la grande riforma del gioco alla fine del quindicesimo secolo; invece, per il Re ci sono state molte modifiche prima di giungere all'attuale forma di arrocco. Ci sono ampie documentazioni concernenti il movimento del Re oltre l’opera del Cessolis, anche se cambiano le condizioni che lo regolano. Il più frequente che si riscontra è quello in cui il Re si muove come un cavallo, con la limitazione di non essere in grado di superare la seconda fila. Un movimento di questo tipo fece la sua comparsa in Italia, prevedendo un movimento di torre nello stesso momento, rassomigliante all’attuale l'arrocco. L'uso del Re che muove come un cavallo scompare con le norme che permettono al re di spostarsi da E1 a H1 o G1, e la torre di H1 a H1 o E1. Questo tipo di "arrocco libero" o "arrocco italiano" è stato utilizzato in Italia fino al diciannovesimo secolo, quando fu deciso di utilizzare quelle che sono le attuali norme, introdotte in Francia nel corso del diciottesimo secolo". Fernando Beretta, Una breve storia dell'arrocco, 2008. 

16. Marci Hieronymi Vidæ Cremon. Scacchia Ludus. A Cosmo Grazino Emendatus, Florentiæ, Apud Cosmum Iuntam 1604. L' opera attirò sul suo autore l'attenzione del papa Leone X, grande cultore degli scacchi, che lo volle alla corte pontificia attorno al 1510. Il successo del poemetto fu enorme con circa trecento edizioni pubblicate sia in latino che nelle più importanti lingue europee. "La vicenda narrata è a sfondo mitologico. Giove e altri dei partecipano al banchetto nuziale in occasione del matrimonio tra Oceano e la Terra. Oceano stesso presenta ai convitati una scacchiera con i relativi pezzi, spiegando agli astanti le regole del gioco, invitando poi a misurarsi Apollo e Mercurio. La sfida infuria tra mosse d'ingegno e trucchi di basso rango, con continui interventi dall'esterno da parte dei numi protettori dei due contendenti. Alla fine, Mercurio riesce a prevalere e Vida descrive in versi il finale di Re e Donna contro Re fino allo scacco matto. Mercurio vittorioso seduce quindi la ninfa Scacchide donandole la scacchiera e insegnandole le regole del gioco. Da questi fatti, secondo Vida, ebbe origine il gioco degli scacchi, derivando il loro nome da quello della ninfa". Si cfr. Franco Romagnoli; Marco Gerolamo Vida, Festival Internazionale di Scacchi, al link

http://www.cremonascacchi.it/festivalvida/index.php?page=pagina_mgvida

17.  La Scaccheide di Girolamo Vida Cremonese Tradotta in versi sciolti dall’Abate Francesco Domenichelli Pubblico Professore di Belle Lettere in Mondavio, Jesi, Presso il Bonelli, 1810.

18. Scacchia Ludus, cit.,pp. 9-10.

19. Ibidem, pp. 11-12

20. Ibidem, p. 6.

21. Ibidem, p. 8.

22. Ibidem, p. 13.

23. Nostra disamina in Taroch è diventato lo mio coreRocchi vengono qui accumunati ai saldi pensieri e alla forza del sentimento dell'amante, simile quest'ultima a una grande fortezza o rocca che l'amata tuttavia dimostra di voler abbattere per togliere all'uomo ogni speranza di vittoria. Il tòpos del gioco degli scacchi trova anche un'interessante versione nel racconto siciliano di una partita fra Dio e Lucifero in Luciferu jucava una mattina, Ms. C 204, c. 89v, Biblioteca Marucelliana, Firenze.

24. Così in Carlo Cozio, Il Giuoco degli Scacchi osia Nuova idea d’attacchi, difese e partiti del Giuoco degli Scacchi, Torino, Nella Stamperia Reale, MDCCLXVI [1766]: “Avvertimenti al Bianco: La pedina del Rocco del Re, una Casa, l’Alfiere del Re alla casa 2, casa del suo Re, e poi s’arrochi, avrà giuoco forte”, Libro II, Cap. LVIII, p. 297 e in Giambattista Lolli, Osservazioni Teorico-Pratiche sopra il Giuoco degli Scacchi ossia il Giuoco degli Scacchi Esposto nel Suo Miglior Lume da Giambatista Lolli, Bologna, Nella Stamperia di S. Tommaso d’Aquino, MDCCLXIII [1763]. "Della Difesa: Giuoco piano, dove l’Avversario nel tratto 4 s’arrocchi col Re, ecc". Cap. IV, p. 322. 

25. Il fine che ci siamo proposti è arduo in quanto si tratta di reperire un documento del tempo (fine XV inizi XVI secolo), ammesso che esista e che non sia andato distrutto, riguardante una delle espressioni citate utilizzata al gioco dei tarocchi dagli avventori delle taverne. Cosa che, per ambito e considerazione, difficilmente sarebbe stata ritenuta degna di essere riportata per iscritto. Sorte diversa per gli scacchi sui quali possiamo disporre di numerosi trattati dato che il loro gioco, a differenza di quello delle carte, era ritenuto assai nobile. Inoltre, le prime regole del gioco dei tarocchi fino a oggi conosciute non sono anteriori al sec. XVII. Poiché in casi come questo la ricerca potrebbe proseguire per anni senza giungere a concreti risultati, quanto qui enunciato rimarrebbe a livello di sola ipotesi, anche se affascinante e plausibile. 

26. In queste espressioni il ti forma atona del pronome personale tu, acquista valore accusativo. 
27. Michelangelo Zaccarello (a cura), I Sonetti del Burchiello, Ed. critica della vulgata quattrocentesca, Commissione per i testi di lingua Casa Carducci, Bologna, 2000, p. 164. Il sonetto, attribuito ad Andrea Orcagna, famoso pittore, scultore e architetto (1308-1368) è riportato assieme alle rime del Burchiello con il numero CXVII. 

28. I tarocchi sono citati come giochi da taverna da diversi autori. Fra questi, Alessandro Citolini da Serravalle che nella sua Tipocosmia (In Venezia, Appresso Vincenzo Valgrisi, 1561) così scrive: "Alcuni altri sono Giuochi da tavèrne; è sono la mora; le piastrelle, le chiavi, è poi le carte, o communi, o terrocchi, o fine, è con le communi sono i dannari, le spade, le coppe, i bastoni, i 10. 9. 8. 7. 6. 5. 4. 3. 2. l'asso, il Re, la Reina, il cavallo, il fante; co i terrocchi  è il mondo, la giustizia, l'angelo, il sole, la luna, la stèlla, il fuoco, il diavolo, la morte, l'impiccato, il vècchio, la ruota, la fortezza, l'amore, il carro, la temperanza, il papa, l'imperadore, la papessa, la imperatrice, il gabbattèlla, il matto", pp. 482-483. 

29. Ampia disamina su tarocco = balordo, idiota, ecc. in Tarocco sta per Matto.

30. Per i nobili e gli intellettuali valeva la famosa frase di Orazio Odi profanum vulgus, et arceo (Odio il volgo profano, e me ne tengo lontano) con la quale inizia la prima Ode del terzo libro.

 

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