Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Il Malcontento

I Tarocchi in un Capriccio del 1547 di Luigi Tansillo

 

Andrea Vitali, settembre 2011

 

 

Da Lothar Teikemeier siamo stati informati di un componimento di Luigi Tansillo, letterato del sec. XVI, dal titolo Capriccio in laude del gioco del Malcontento contenente un riferimento ai tarocchi. Ne faremo pertanto disamina, soffermandoci anche sulla figura del Tansillo, considerato dai suoi contemporanei sommo poeta lirico.


Luigi Tansillo nacque a Venosa nel 1510 e morì a Teano, paese natale del padre, nel 1568. Dopo aver servito nella guardia d’onore di Pietro da Toledo viceré di Napoli, entrò a far parte della Accademia degli Umidi. Il suo primo componimento di ben 160 stanze (1277 ottave), Il Vendemmiatore (Stanze di coltura sopra gli horti delle donne) apparso nel 1532, fu condannato dall’Inquisizione e inserito fra i libri proibiti causa l’eccesso di aspetti boccacceschi.

 

Un misoginismo espresso con freschezza poetica caratterizza le seguenti ottave messe in bocca a un religioso desideroso di conquistare i favori di una bella bionda:

 

 LXXII

 

Tu sai, che Donna è fragil per Natura;
E docile a l’uomo si sottomette;
Tu sai, che ’l fallo non le fa paura,
Se facile il perdon tu le promette;
E l’accoglienza tua la rassicura,
Poi che non hai con lei le man sì strette:
E ben s’accorge, che lontan dal coro
Sei uom com’altri, ed ami il bel lavoro

 

LXXIII

 

In fatti se la trovi bionda e bella
E fresca tu gli dì: Figliuola mia,
Sapete, che non posso in chiesa o in cella;
Come pur il bisogno vi saria,
Parlare di più su questa cosa o quella,
Che al vostro bene vantaggiosa sia:
In vostra casa, con buona licenza,
Terrem spirituale conferenza

 

LXXIV

 

Ed ella astuta, che prevede il gioco;
Risponde, ch’è per lei un alto onore:
Si finge inferma, e d’un suon mesto e roco
Dice che bisogno ha del Confessore.
Non ti fai aspettar molto, né poco,
Ma tosti corri con allegro core:
Da lo spirto alla carne, in buon sermone,
Si fa la conferenza in stretta unione.

 

LXXV

 

Lungi da lei tosto che hai messo il piede,
Ella è guarita, e già, lasciato il letto,
Corre al marito suo, che a pena crede
A gli occhi suoi, e dice: Ah! mio diletto,
Mio dolce ben, non è no la mia fede,
Che operò tal miracolo perfetto,
Ma il merto del mio santo Religioso
M’ha svelta dal mio stato doloroso.

 

 […]

 

LXXVII

 

Il buon marito credulo e devoto
Bacia, e si stringe al sen l’indegna moglie,
E viene al tuo convento, e porta in voto
Quel che più satisfar può le tue voglie;
E poi che ’l merto tuo gli è sì ben noto,
Lascia che la sua sposa ognor t’accoglie;
E così avviene per uman destino,
Che sian più giardinieri in un giardino 1.

 

Dopo altri componimenti di vario argomento (CloridaLa BaliaIl Podere), per rientrare nelle grazie della Chiesa Tansillo compose le Lacrime di San Pietro (opera incompiuta, pubblicata postuma nel 1580), trasposizione epica-letteraria del Planctus Virginis, arricchito dalla prosa mariana dello Stabat Mater. A sua imitazione il Tasso compose Le lagrime di Maria Vergine Santissima et Giesu Christo Nostro Signore, mentre la novità del componimento ispirò rifacimenti in musica fra cui i Madrigali a 7 voci del 1595 di Orlando di Lasso.


Maria Teresa Imbriani così scrive sull’arte letteraria del Tansillo: «La musicalità superficiale delle sue composizioni, la molle sensualità, la descrizione minuziosa e dettagliata del particolare, il colorismo pittorico, i giochi di parole e, insieme, la naturalezza del fare poesia, il tono quasi discorsivo, il richiamo alla tradizione antica e moderna, l’esplicito rifarsi a Sannazaro, la “locuzione artificiosa” ancora non del tutto consapevole: tutto ciò pone Tansillo ben al di sopra di un fenomeno regionale e gli consegna un ruolo ben definito nel passaggio da Ariosto a Tasso. Non a caso, Giulio Cesare Capaccio amava riferire un aneddoto sul rapporto Tansillo - Tasso: una volta “Tasso si diffuse per sì fatto modo negli encomj di questo valoroso Rimatore, che non dubitò di affermare, non essersi da molti anni veduti in Italia più leggiadri componimenti dei suoi”. ETommaso Stigliani affermava altresì che Tasso stimasse Luigi Tansillo poeta lirico superiore allo stesso Petrarca» 2.

 

Certamente il Tasso fu un grande ammiratore del Tansillo come si evince dal seguente scritto del Serassi sulla vita del Tasso:

 

“Oltre al detto Ambasciatore, trovo, che Torquato fu talora a pranzo anche da altri amici; ed una volta in ispecie da Giulio Cesare Capaccio, Segretario della Città di Napoli, uomo di molta dottrina, ove essendo caduto il ragionamento sopra il merito nell’Italiana Poesia di Luigi Tansillo da Nola, scrive esso Capaccio, che il Tasso si diffuse per sì fatto modo negli encomj di questo valoroso Rimatore, che non dubitò di affermare, non essersi da molti anni veduti in Italia più leggiadri componimenti dei suoi. E certamente il Tasso per la novità e bellezza dei concetti stimava il Tansillo sopra tutti i moderni, siccome per la maestà e l’eleganza dell’espressione preferiva di gran lunga il Casa a qualunque altro; e si vede in fatti, ch’egli particolarmente ne’ Sonetti si studiò di seguire la grave e dignitosa maniera di quest’ultimo»; (ivi, nota 3): «Il Tasso veramente avea molto in pregio la maniera di poetare del Tansillo, come si vede da più luoghi delle sue Opere. Non saprei tuttavia indurmi a credere esser vero ciò, che in questo proposito afferma lo Stigliani a cart. 118 delle sue Lettere, impresse in Roma dal Bernabò 1664, in 12, cioè che il Tasso stimava miglior poeta lirico il Tansillo che il Petrarca, benché egli non comunicasse a tutti tale suo sentimento, ma solo ad alcune persone confidenti. Forse qualcuno fece questa congettura dal sentirlo commendar tanto il Tansillo» 3.

 

Fra i componimenti satirici e giocosi composti fra il 1537 e il 1552 pervenutici da manoscritti del sec. XVI e da un’edizione a stampa del 1870, di nostro interesse per i riferimenti ai giochi di carte, fra cui i tarocchi, è il Capriccio in laude del giuoco del Malcontento dedicato “Al Signor Sanseverino Nano Favoritissimo del Signor Principe di Bisignano”.

 

Volpicella lo ritiene affine al gioco del Contento 4. Tuttavia, Franchi (1991) ha potuto ipotizzare che il gioco del Malcontento possa costituire una variante con carte ordinarie del forse più antico gioco del Cucù, in cui si utilizzano carte speciali e oggi diffuso solo in alcune zone della Danimarca, nelle valli bergamasche e nel circondario di Montorio al Vomano in Abruzzo 5. È probabile che da Napoli il Malcontento sia passato in Spagna dove ancora era rubricato in dizionari settecenteschi come: «Gioco di carte, in cui si dà una sola carta a ogni giocatore e a partire da chi è di mano si scambia la carta con il giocatore seguente, e colui che ne ottiene una che gli basta dice Son contento; colui che ha il Re dice Zapa o Cuco e non scambia; l’ultimo di mano prende l’ultima carta del mazzo, che sarà la sua carta a meno non sia un Re [che non si può prendere]; si scoprono le carte e perde colui che ha la più bassa». Per cui chi manteneva la carta poteva dirsi contento, diversamente dal malcontento che doveva cederla e che dà il nome al gioco, «e la frase Accontentatemi rivolta da chi era malcontento al giocatore successivo, frase ancora usata nell’attuale Cucù, fa parte della stessa famiglia, intendendo con essa “Fatemi contento”». E forse non sarà superfluo a questo punto citare la prima terzina del Capitolo di Gradasso del Berni: Voi m’avete, Signor, mandato a dire / Che del vostro Gradasso un’opra faccia: / Io son contento, io vi voglio ubbidire 6. Significativo, poi, che il Tansillo nella dedicatoria si esprima in modo analogo: Ho ubidito et v’ho scritto le laudi del Malcontento”.

 

Dalla dedica al nano Sanseverino si comprende il motivo del tema: il gioco del Malcontento era da questi amato più di ogni altro.

 

 Capriccio in laude del giuoco del Malcontento.

 

ALLO UNICO SIGNOR SANSEVERINO RE DI TUTTI I NANI

 

Mi commandò più volte con prieghi, sì come è usanza sua, il cortesissimo signor vostro, ch’io scrivessi qualche cosetta a voi, argomentando che, poi ch’io celebrai morta Cintia, nana della illustrissima signora del Vasto, non era indegno che celebrassi voi suo nano vivo et non menbello nel vostro sesso che fusse ella nel suo. Ho ubidito et v’ho scritto le laudi del Malcontento, gioco vie più che tutti gli altri a voi caro et vie più che tutti gli altri picciolo et gratiosoPiacessi a Iddio ch’io potessi usar quella delicatezza et acutezza nelle parole mie che usò Natura nelle membra vostre, ché non è core sì duro ch’io non lo trapassassi. Ricevete il dono et la volontà, la quale non è meno di gradirsi per la grandezza sua, che siate voi per la picciolezza vostra. Di Napoli a X di settembre del XLVII. Tutto vostro L. Tansillo.

 

I primi versi sono dedicati dal poeta a una esaltazione agiografica del nano, atteggiamento che in realtà sarà mantenuto per tutto il capriccio:

 

     Sanseverin, su la mia fe’ vi dico,

Che, seben siete novo, io v’amo quanto

Un che mi fusse di molti anni amico.  

                       

     V’amo sì forte che talor mi spanto,

Per dirlo a la spagnuola, come nasca

D’un uom sì picciolino un amor tanto.                       

 

     Quando avien ch’io m’attristi o ch’io m’irasca,

Il veder voi m’acqueta et mi rallegra:

Voi siete quasi una mia nova pasca.                            

 

     Non ho la mente mai sì fosca e negra

Che ratto non rischiari et rasserene,

Vedendo in voi quella faccina allegra.                      

 

     V’affetto insomma e vi vo’ tanto bene,

Che cangierei per voi vita e paese

E m’aprirei per voi tutte le vene.                              

 

     Non perché siete caro al più cortese

E più dal mondo amato, et con ragione,

Principe che già mai si vide o intese,                  

 

     Io vi porto cotanta affezione,

Benché questo rispetto per sé solo

Basti a farvi adorar da le persone;                               

 

     Ma v’amo perché siete un uomicciuolo

Il più acconcio, il più picciolo, il più corto

Che nacque mai da l’uno a l’altro polo.                       

 

     Siete galante, accostumato, accorto:

avete bello il corpo, et l’alma bella:

Non ha né l’un né l’altra in sé del torto.   

                 

     Avete un tuon di voce, e una favella

Straniera e nostra e non so come mista,

Che par che l’alma di piacer mi svella.  

 

[...]                     

 

Dai versi dedicati al Malcontento, apprendiamo le qualità del gioco stesso (Io dico che nel mondo oggi non have / più bel gioco di questo et più spedito, / et più schietto et più lieto et più soave.), prerogative di cui i tarocchi non potevano vantarsi, dato l’eccessivo numero di carte che occorreva tenere in mano (Non è come la noia de’ tarocchi, / ch’a volger tante carte par che stracchi / non pur le mani ma, a vederle, gli occhi), così come i tanti altri giochi di carte citati dall’autore, fra cui il Runfetto, la Primiera, i Trionfi e altri giochi fra cui gli scacchi, i dadi e  la palla. Un raffronto fra i giochi giudicato in base alla complessità delle regole e al numero delle carte, era stato compiuto anche dal Berni nel Capitolo della Primiera; “Un che volesse dirne daddovero, / Bisognere’ ch’avesse più cervello / Che chi trovò gli scacchi e ’l tavoliero. // Chi dice: «Egli è più bella la bassetta», / Per esser presto e spacciativo giuoco, / Fa un gran male a giucar s’egli ha fretta. / Questa fa le sue cose appoco appoco; / Quell’altra, perch’ell’è troppo bestiale, / Pone a un tratto troppa carne a fuoco” 7.

 

     E perché vedo quanto vi sia caro

Giuocare al Malcontento spesse volte,

Giuoco degno d’un uom come voi raro,                       

 

     Vò narrar parte de le molte e molte

Laudi di cotal gioco e dei gran fatti,

Purché la vostra cortesia m’ascolte.                          

 

     Finché l’alta materia io stenda e tratti,

Caro Sanseverin, non vi sia grave

Sedervi in pace e far tregua con gli atti.               

 

     Io dico che nel mondo oggi non ave

Più bel gioco di questo e più spedito,

E più schietto e più lieto etpiù soave.                    

 

     Giocheran dieci o venti in un convito,

E ciascun gioca assiso ove si trova

Senza che l’un da l’altro sia impedito.                       

 

     Non men chi perde che chi vince prova

La dolcezza del giuoco, e si ha di riso

Ad or ad or sempre materia nova.                               

 

     Quel che in piè guarda e quel che giuoca assiso,

La parte del piacer parimente hanno:

Ciascun vi gode come in Paradiso.                               

 

     Non vi si può temer frode né inganno,

Né perder troppo: il vincer d’una volta

Di quaranta perdenze rifà il danno.                           

 

     O mi sia data carta, o mi sia tolta,

Ho sempre nova aspettativa innante

Di veder come la fortuna volta.                                   

 

     Non è bisogno ch’io rivolga tante

Carte, e getti e raccoglia e conti e parta:

Noia a chi gioca, e noia al circostante.                      

    

     Io fo qui il fatto mio con una carta,

Con una carta, cha appena si tocchi,

Di molti accoglio la moneta sparta.                            

 

     Non è come la noia de’ tarocchi,

Che a volger tante carte par che stracchi

Non pur le mani ma a vederle gli occhi.                  

 

     Né men come la flemma degli scacchi,

Che tiene tanti uffici e tanti gradi,

E vi son tanti matti e tanti schacchi:

                    

     Né men come il crudel giuoco de’ dadi;

Che ritrovar cagion per me non vaglio,

Ond’è che al mondo il crudel laccio aggradi.                  

 

     Il dar di palla al muro, il trar col maglio,

Che han mestier di gran forza e di opra magna

Son giuochi da periglio e da travaglio.                        

 

     Cedagli la primiera d’Alemagna,

Il gioco di trionfo e di runfetto

E il tre dua asso, ancor che sia di Spagna.               

 

     Esaminate pur con l’intelletto

Ogni giuoco che al mondo sia introdutto,

Ch’a ciascun troverete il suo difetto.                        

 

     Il Malcontento solo egli è buon tutto:

Né cosa mala in lui si trova o vile,

Come in voi non si trova membro brutto.  

 

[...]              

 

Un gioco straordinario che, a dispetto del nome, rendeva felici anche i perdenti i quali, a differenza di quanto avveniva per altri giochi, più venivano alleggeriti di denaro, più ridevano e si divertivano:

 

      Si chiama questo giuoco il Malcontento,

Però che tanto è il suo piacer che sforza

Chi gioca a starsi anco nel mal contento.                  

 

      Ancor che perda il giuocator, gli è forza

Che allor più rida e burli e scherzi e ciancie,

Quando più sente allegerir la borza.                           

 

     Negli altri giuochi al perditor le guancie

Si spargono talor di pallidezza

Come incontro gli andassen spade e lancie.    

 

[...]         

 

Insomma, si trattava di un gioco a cui tutti dedicavano il loro tempo, compresi Papi e Imperatori (A che più mi dilato et mi diffondo, / una breve sentenza il tutto serra: / che ’l Malcontento signoreggia il mondo.).

 

     Talché non troverete oggi fra mille

Un uom che il Malcontento non adopre

Il dì e la notte, a l’alba ed a le squille.                      

 

     Tra quanto vede il ciel, tra quanto copre,

Il Malcontento signoreggia, e pote

In tutti gli esercizi, in tutte l’opre.                          

 

     Giuocan le genti dotte e le idiote,

Quei che sudditi son, quei che son capi,

E le turbe vicine e le rimote.                                    

 

     Villani, gentiluomini, satrapi,

Conti, marchesi, duci et quei ch’adora

Il mondo, regi, imperadori e papi,                             

 

     Giocano al Malcontento a ciascuna ora:

Si giuoca ne le case e nei palazzi,

Nei monisteri, e ne le chiese ancora.                         

 

     Tutti, o sian vecchi o giovani o ragazzi,

I savi son del Malcontento amici.

Quei che vi giuocan meno sono i pazzi.                       

 

     Gl’innamorati, o miseri o felici,

E i cacciatori e di penne e di pelo,

Che sogliono del giuoco esser nemici,                           

 

      Più che gente che viva sotto il cielo

Giuocano al Malcontento, e i viandanti

Vi giuocan più quando han più caldo o gelo.              

 

     Io son d’opinion che in terra, avanti

Che a godersi nel cielo andasser lieti,

Giuocaro al Malcontento tutti i santi.                         

 

     E mi han giurato più di quattro preti

Che non passa mai giorno, ed ora forse,

Che non vi giuochi il cardinal di Chieti:

                    

     E che più di due volte il papa torse

Il piè dagli altri e ’n camera si chiuse,

Perché potesse a questo gioco porse.                          

 

     Ne’ monisteri de le donne chiuse,

Se ben si cerca l’universo a tondo,

Vieppiù che ’n altra parte credo s’use.                      

 

     A che più mi dilato e mi diffondo?

Una breve sentenza il tutto serra:

Che ’l Malcontento signoreggia il mondo.

 

I versi conclusivi riflettono quell’atteggiamento agiografico nei confronti del nano Sanseverino che ricorre per tutto il Capriccio e che si conclude con il suo innalzamento a Re dei nani:

 

     Pensate, acciò che più ’l desio s’infochi,

Quando avete le carte ne le mani,

Che il Malcontento è il re di tutti i giochi                 

 

     Come Sanseverin di tutti i nani 8.

 

Note

 

1. Il Vendemmiatore Del Signor Luigi Tansillo, Per l’addietro con improprio nome intitolato: Stanze di Coltura sopra gli Orti delle Donne, Caserta, s.e., M.D.CCLXXXVI. [1786], pp. 41-43.

2. Maria Teresa Imbriani, Luigi Tansillo, online al link

 http://www.old.consiglio.basilicata.it/pubblicazioni/Appunti%20Letterat/Appunti%20Lett%20Parte%2004.pdf

3. P. Serassi, La vita di Torquato Tasso, Bergamo, Locatelli, 1790, vol. II, p. 252.

4. S. Volpicella (a cura), Capitoli giocosi e satirici di Luigi Tansillo, Napoli, Libreria Di Dura, 1870, p. 280, n. 6.

5. S. Franchi, Le carte del Cucù. Un antico gioco europeo sopravvissuto a Montoro, in “La valle dell’alto Vomano ed i Monti della Laga”, Teramo, Carsa Edizioni, I, pp. 93-115.

6. Al Cardinal de’ Medici in lode di Gradasso, in “Opere Burlesche di Francesco Berni”, Milano, Dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, Anno 1806, p. 69.

7.  Sul Capitolo della Primiera di Francesco Berni si veda I Tarocchi in Letteratura I 

8. Capitoli Giocosi e Satirici di Luigi Tansillo Editi ed Inediti con Note di Scipione Valpolicella, Napoli, Libreria di Dura, 1870, pp. 265-277


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