Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Il Traditore

L'appeso per un piede

 

Andrea Vitali,  febbraio 2009

 

 

LA FIGURA DELL’APPESO IN UN PIATTO DI MAIOLICA DEL SEC. XV Al MUSEO CIVICO DI FANO




(Figura 1 - Traditure, Piatto in maiolica sec. XV - Museo Civico Fano)

 

La maggior parte dei documenti sugli ordini dei Trionfi del sec. XVI definisce la carta dell’Appeso con il termine di Traditore, oltre a Lo impichato (Anonimo, Sermone de Ludo, c. 1500), Appiccato (Teofilo Folengo, Chaos del Triperuno, 1546), l’Impiccato (Francesco Piscina, Discorso perché fosse trovato il gioco, 1565 e Tommaso Garzoni, La piazza universale, 1585).

 

La troviamo espressa con il termine di Il Traditore o più semplicemente senza l’articolo dai seguenti autori:

 

Pietro Aretino, Pasquinata per l’elezione di Adriano VI, 1521 e Le carte parlanti, 1543
Troilo Pomeran, Triomphi composti sopra li Terrocchi in Laude delle famose Gentil donne di Vinegia, 1534
Anonimo, Motti alla signore di Pavia sotto il titolo dei Tarocchi, 1525-1540
Flavio Alberto Lollio, Invettiva contra il giuoco del tarocco, c.1550
Francesco Piscina da Carmagnola, Discorso sopra l’ordine delle figure de tarocchi, 1565
Anonimo, Triumphi de Tarocchi appropriati, c. 1530-1560
Anonimo, Discorso perché fosse trovato il gioco…, c. 1570


Paolo Giovio nella sua raccolta di Pasquinate del 1550 riporta un Gioco di Tarocchi fatto in Conclave dove questa figura viene definita come Juda, il traditore per eccellenza, così come ritroviamo nelle carte Visconti della Yale University Library. Qui la carta della Speranza, apparentemente insolita in un mazzo di tarocchi, è rappresentata da una donna genuflessa in atto di pregare. Alle sue mani sono strette due corde, una è legata ad un’ancora, l’altra attorno al collo di un vecchio steso a terra, sul cui abito bianco un tempo erano visibili le parole Juda traditor.


Nel Gioco de Tarochi fatto in Conclavi dell’Aretino il mazzo delle carte viene mischiato dal cardinale Farnese che distribuisce ciascuna carta ai cardinali presenti. Quella di Juda vien assegnata al cardinale di Pisa, definito traditore.


In riferimento alla pena comminata ai traditori, nel diario manoscritto di Iacopo Rainieri, che riporta notizie e vicende accadute a Bologna dal 1535 al 1549, troviamo scritto: “Adi 21 detto fu atachati su li cantoni de la piaza uno foglio de carta nel quale li era depinto Cesaro di Dulcini e Vicenzo de Fardin ditto il Vignola li quali erano apichati per uno piedo per tradittori de la patria li quali avevano portato în la città di Trento il mestiero del fillatoglio de lavorare la seda et aveano taglia drieto che li amazava guadagnava ducati 100 e chi li deva vivi ducati 200. Notta che il ditto Cesaro Dolsino feva l'arte dela seda et Vicenzo feva l'arte del ligname zioe faceva li filatogli1.


Nel Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti rileviamo ancora un esempio assai significativo. La domanda XLVII intesa a far conoscere “Quel cha l’huomo, o alla donna per li loro ma pensieri averra”, è illustrata con tre figure: la prima mostra un condannato che sta salendo la scala di un patibolo, la seconda lo stesso uomo appeso per un piede, mentre nella terza, attaccati alla corda, troviamo ciò che resta del condannato: una testa, un braccio, una gamba. Il Fanti così spiega la domanda: “Nella presente domanda, l’Auttore tratta di coloro che sono oppressi da molti e scelerati pensieri, e spetialmente di quelli che pensano operarli contra de loro maggiori, notificando, che ogni tristo lor disegno andera fallato, e che da cieli sarano ridotti a pessimo e disperato fine. Onde il Fanti essorta tutti i potentati a doversi da questi tali per ogni modo guardare”.  Alla carta LXIIv. dei responsi, la Sybilla Cumana così si esprime nella XVI quartina, illustrata dalla stessa figura di un uomo appeso per un piede: “Se inhumano serai, o traditore / A Signori, o parenti in fatto o in detto / Senza cagion privo d’ogni rispetto / Te veggio in aer terminar tue ore2.


Allo stesso supplizio sembra essere stato condannato Muzio Attendolo Sforza dall’Antipapa Giovanni XXIII che nel 1412 lo denunciò come traditore, per essersi alleato ad un suo nemico, il re di Napoli Ladislao. Nei suoi Annali d’Italia il Muratori scrive che il Papa si sentì tanto offeso che lo fece dipingere impiccato per il piede destro, con sotto un cartello in cui veniva condannato reo di dodici tradimenti. Una più dettagliata informazione ci giunge dalle cronache del tempo: “Per ordine del Signor nostro Papa fu dipinto su tutti i ponti e su tutte le porte di Roma, sospeso pel piede destro alla forca, quale traditore della Santa Madre Chiesa, Sforza Attendolo e teneva una zappa nella mano destra, e nella mano sinistra una scritta che diceva così: Io sono Sforza vilano de la Cotignola, traditore, che XII tradimenti ho facti alla Chiesa contro lo mio honore, promissioni, capitoli, pacti aio rocti3. Questa informazione risulta importante per il numero delle colpe attribuite che corrisponde a quello del traditore nelle carte dei tarocchi. Dobbiamo domandarci se il XII oltre a indicare il dodicesimo apostolo, cioè Giuda, non rispecchiasse già l’immagine dell’Appeso dei tarocchi. Se così fosse, sarebbe stato di gran lunga più facile per il volgo l’immediato riconoscimento.


Da questi e ulteriori documenti siamo a conoscenza che la pena comminata ai traditori nel Medioevo consisteva appunto nell’essere appesi per un piede. “L’uomo capovolto, cioè l’uomo che ha perduto lo stato eretto, la sua dignità, ha perduto tutto ciò che simboleggia e sottintende lo slancio verso l’alto, verso il cielo, verso lo spirituale, egli non risale più l’asse del mondo in direzione del polo celeste e di Dio; al contrario s'infossa nel mondo animale e nelle tenebrose regioni inferiori” 4

 

Sono trascorsi trenta anni, da quando nel 1987 attirai l’attenzione sull’affresco dell’Inferno di Giovanni da Modena presente presso la Cappella Bolognini in San Petronio a Bologna, che riporta quale pena comminata agli idolatri (cioè ai traditori di Dio) la medesima figura dell’appeso come ritroviamo nella carta dei tarocchi.


(Figura 2 - Giovanni da Modena, Gli Idolatri, particolare dell'affresco dell'Inferno 1410, Cappella Bolognini, San Petronio, Bologna)

Al centro dell’affresco troneggia un gigantesco diavolo gastrocefalo, secondo l'iconografia tipica del tempo. Fra aspre, taglienti e massicce scaglie rocciose i dannati vengono rappresentati nelle loro pene di contrappasso con la colpa scritta su banderuole, sui sassi e sopra la linea dell’orizzonte. Proprio su questo orizzonte di pece si innalzano, uniche apparenze vegetali, gli scheletrici tronchi e le ramaglie nelle quali sono trafitti o pendono i dannati. Fra questi, due uomini sono appesi per un piede ai rami dello stesso albero: uno è raffigurato di fronte, l'altro di schiena. Le loro teste sovrastano altri dannati, due gruppi di tre persone, immersi nell'acqua fino al petto, che guardano a loro volta le facce degli appesi sovrastanti


La scritta che ne identifica la colpa inizia a sinistra dell'appeso raffigurato di schiena e termina alla destra del secondo impiccato: "ido/latria". Fra le teste di questi idolatri, sopra i personaggi immersi nell'acqua appare la scritta "ninusrex". Si tratta di Re Nino, l'idolatra per eccellenza, fondatore di Ninive, la città in cui, più che in ogni altra, si consumavano riti idolatrici.


Giovanni da Modena, nel dipingere questo affresco, si era ispirato senz'altro a precedenti modelli per l'invenzione e la descrizione di talune pene. Anche il Maestro bolognese delle iniziali di Bruxelles nella raffigurazione dell'Inferno nei Libri delle Ore, quello di Carlo il Nobile e l'altro, ora alla Bodleian Library di Oxford, sembra essersi riferito agli stessi modelli. Il Maestro raffigura infatti una scena similare: un uomo appeso sovrasta una cisterna che contiene vari personaggi, fra cui Re Nino con la corona in testa.


La scena riprende il passo biblico della distruzione di Ninive da parte di Dio (Nahum 2,9): "Ninive è resa simile ad una cisterna incapace di contenere le acque". Giovanni da Modena non rappresentò espressamente Re Nino e usò i sassi come cisterna naturale nella quale infossare gli idolatri. Il termine idolatra deriva dal greco eidôlatres, composto da eidôl-on = immagine e làtrês = servo.


Questa raffigurazione è regolata da una legge di contrappasso: gli idolatri, cultori dell'immagine dei falsi dei sono costretti a osservare in eterno l'immagine della propria colpa, rappresentata nella condizione della pena. La configurazione dei due appesi, uno voltato di schiena, l'altro di fronte, si rendeva necessaria in quanto la visione della propria colpa, e quindi della sofferenza causata dalla pena, doveva essere completa 5

 

IL PIATTO DI FANO

 

Seppure il significato “appeso = traditore” e sua relativa iconografia sia oramai consolidato, il piatto di Fano si pone non solo come un'ulteriore prova di quanto qui espresso, ma la scritta che ne identifica la colpa rende questo documento l'unico esempio esistente fino a oggi scoperto nell’arte profana in cui il rapporto colpa = supplizio viene esplicitamente definito. E se la figura del traditore presente nell'affresco della Cappella Bolognini rimanda iconograficamente al Tarocco di Marsiglia, con la gamba sinistra piegata sulla destra a formare una perfetta croce, la conformazione delle gambe dell'appeso nel piatto di Fano risulta esattamente identica a quella presente nella carta dei Tarocchi Colleoni-Baglioni del sec. XV.


(Figura 3 - L'Appeso, Tarocco Visconti-Sforza, sec. XV)


SCHEDA DEL PIATTO


Da MAIOLIKA - Kèramus
Ceramiche restaurate del Museo Civico
dal XIV al XVII secolo

I Quaderni del Museo
n. 01 - 2008
Rivista del Museo Civico di Fano

Piatto
h cm.4,3
Ø cm. 25,8
Pesaro / Fano [ ? ]
fine sec. XV


Il piatto, frammentario e in parte lacunoso, presenta un'ampia tesa decorata da un tralcio fiorito realizzato in monocromia blu. Ad intervalli regolari, tra le volute sinuose si inseriscono piccoli fiori con bottone centrale di color arancio. Al centro del piatto campeggia la figura di un uomo appeso, trattenuto ai piedi da una corda e un cartiglio con iscrizione che corre lungo il perimetro superiore del cavetto. Ciò che resta della scritta poco leggibile all'interno del cartiglio, sono le parole "TRADITURE (?) NON TE C[...]". Solo grazie alle ultime indagini condotte sui materiali conservati nei depositi, si è potuto ricollocare il frammento al centro del piatto che si caratterizza per avere una linea di frattura curvilinea. Con ogni probabilità, come suggerito dal restauratore, il fatto che il fondo del piatto sia irregolare e sporga di pochi millimetri oltre la linea di appoggio data dal piede ad anello, ha determinate il distacco della parte centrale. Infatti l'oggetto fu realizzato per essere appeso, come dimostrano i fori di sospensione realizzati a crudo sul piede, e non per essere collocato su di un piano. Quindi l'uso improprio del piatto ne ha determinate la rottura causando una linea di frattura ad andamento circolare lungo il perimetro esterno del cavetto.
Restauro: Andrea Pierleoni, Urbino 2007

L'Associazione Le Tarot intende esprimere un ringraziamento particolare alla Dott.ssa. Raffaella Pozzi, Direttore del Museo Civico e Pinacoteca del Palazzo Malatestiano di Fano per l'autorizzazione concessa alla pubblicazione della foto del piatto e alla Dott.ssa Patrizia Mignani Giovanelli, Storica dell'Arte del Museo e Pinacoteca per la squisita cortesia e disponibilità.


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